Raffaele Morelli: «Contro la pandemia dobbiamo distrarci per non aver paura»

l’intervista
Alex Pessotto
Il suo ultimo libro, “Segui il tuo destino” (Mondadori, pagg. 151, euro 18), è uscito a fine 2019, quasi alla vigilia della pandemia. Ma i temi e gli argomenti del libro rimandano a ciò che stiamo vivendo. E lo psichiatra Raffaele Morelli, direttore della rivista Riza Psicosomatica, continua a essere sommerso di lavoro. Tv e radio lo invitano costantemente per illuminare in qualche modo un periodo ancora buio.
Quali emozioni, quali sensazioni in tempi di Coronavirus sono dominanti?
«A Riza - risponde Raffaele Morelli - mi arrivano molte mail collegate all’ansia e alla paura del virus, al panico, all’insonnia».
E lei cosa consiglia?
«Di accogliere il disagio senza pensare alla causa, di non combattere l’ansia, ma di trattarla da amica. Poi, suggerisco di lasciare spazio alle immagini, al nostro lato sognante. Ancora, consiglio di fare ciò che piace: di provare i vestiti che più si amano, di dedicarsi alle attività manuali (dipingere, disegnare, ricamare), di immergersi nell’azione».
Per gli uomini il momento è più difficile?
«Sì, perché usano poco l’immaginazione. Sono più concreti».
L’ansia però può raggiungere livelli paralizzanti…
«Certo, ma se quando arriva la accettiamo come parte di noi, se ci abbandoniamo a essa e facciamo partire l’immaginazione, riusciamo a vincerla».
La situazione attuale fa bene alle coppie?
«No, nelle coppie per andare d’accordo ciascuno deve avere il proprio spazio, deve stare alla giusta distanza dall’altro. Gli eventuali litigi non bisogna rimuginarli, trasformarli in rancori che intossicano il cervello».
La Tv di questo periodo è assorbita dalle cronache sul virus. È giusto seguirla?
«No, fa malissimo. L’informazione eccessiva è dannosa quanto quella insufficiente. Passare il tempo a contare morti e contagiati non fa certo bene alla mente. La Tv andrebbe vista ogni tre-quattro giorni. Anche il sindaco di Milano, del resto, ha suggerito che ogni tre-quattro giorni andrebbero comunicati i numeri del virus».
Dopo la fine dell’ emergenza, quale sarà l’emozione prevalente?
«Una grande paura per la sensazione di entrare in una situazione di miseria, con gravi problemi di lavoro».
Come valuta il rapporto di questi giorni tra il Presidente Mattarella, il Premier Conte e gli italiani?
«Premesso che ora gli italiani, per usare una metafora, hanno bisogno del latte, ricordo che il latte nasce dal cervello, mentre il seno è solo la sua ultima stazione. Quindi, il bisogno del latte è quello di un padre e di una madre che ci assistono, ma, in questo caso, non potendoci assistere i genitori, occorre una “grande madre”, costituita dal Capo dello Stato e dal Premier. Il consenso di Conte si lega quindi al fatto che sta parlando al Paese come il Paese desidera. È poi importante che adesso i politici non litighino: un figlio che vede i genitori litigare si fa prendere dallo sconforto. La frase “Andrà tutto bene” scritta sul pannolino di un bimbo la diciamo a noi stessi e agli altri, per rassicurarci. E anche le canzoni, gli inni nazionali sui balconi denotano la necessità di essere compatti. La politica deve quindi sapere che non è il momento della lotta, ma della pace».
Ma c’è chi ha perso il lavoro.
«Il Governo darà degli aiuti. In ogni caso, è sbagliato concentrarsi sul periodo che stiamo vivendo. Non si devono mai prendere decisioni nei momenti difficili. In Cina i divorzi sono aumentati dell’80% circa per la convivenza forzata. Ma ora non c’è da pensare a lasciare la moglie o il marito e lo stesso discorso vale per le decisioni di lavoro. Non è tempo di esami di coscienza, di bilanci. Più si mette il cervello in una condizione di infelicità, meno trova soluzioni. Occorre distrarsi, cercare ricordi piacevoli: la distrazione è un farmaco, come insegnano i bambini. Svuotare la mente produce percorsi nuovi e sarà il cervello a partorirli: è come il seme, che fa la pianta anche nei momenti difficili. Più si pensa al virus, più si indeboliscono le difese immunitarie e più si rischia di ammalarsi. La psicoterapia mi ha insegnato che ciò che non si è fatto in dieci anni lo si può fare dopo dieci anni e un giorno».
Il suo ultimo libro si intitola “Segui il tuo destino”. C’è, in questo caso, un destino comune? Dove ci porta?
«Jung diceva che non si deve vedere il terreno come se fosse una pianta. Ora, il nostro terreno è ferito dall’epidemia, ma ognuno di noi può pensare a cosa caratterizza la propria pianta: a cosa viene facile, a cosa piace, a ciò che ciascuno ha di unico: una rosa non può fare l’edera».
E lei, Morelli, quanta paura ha?
«Chi non ha paura? La morte fa sempre paura, ma sono abituato a pensare che sia una parte della vita. E non ho l’idea folle di diventare una caricatura, di restare sempre giovane. Però, con tutti gli errori che ho fatto, ho avuto la fortuna di potermi occupare di ciò che mi piace. E, a volte avvicinandomi e altre volte allontanandomi, ho fatto la strada che dovevo percorrere. Insomma, non ho rimpianti e di certo non tornerei indietro». —
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