Radonicich: «Racconto l’Italia degli sradicati»

È l'unico film italiano in concorso quest'anno alla Settimana della Critica: si intitola "Banat", una storia di immigrazione "al contrario" firmata dall'esordiente Adriano Valerio. Un racconto che fotografa il presente del nostro Paese, avaro di opportunità per i giovani spesso costretti a cercare lavoro all'estero. Come succede a Ivo, protagonista del film interpretato da Edoardo Gabbriellini, agronomo senza prospettive che accetta un lavoro nel Banat, fertile regione della Romania. Con lui c'è Clara, personaggio interpretato dall'attrice piemontese di origini montenegrine Elena Radonicich, anche ospite di ShorTS Film Festival nel 2014 nella sezione "Prospettive". «Il personaggio di Clara - racconta l'attrice appena diventata mamma di Anna, a pochi giorni dalla sua partenza per il Lido di Venezia - attraversa un momento molto particolare della sua vita. Esce da una relazione finita, sta perdendo il lavoro, sta traslocando, è in una fase di forte transizione. In queste circostanze incontra Ivo, nella casa che lui sta per lasciare per andare a lavorare in Romania e in cui lei sta per andare a vivere. Tra loro nasce subito un'affinità che si basa sullo sradicamento. Una condizione che li accomuna e che li porta a riconoscersi».
Quello che lei chiama "senso di sradicamento" è qualcosa che Elena Radonicich porta nel sangue. Il suo cognome testimonia il fatto che qualcuno, in tempi più o meno lontani, si è spostato dalla propria terra per venire in Italia. Di origini balcaniche, la famiglia del nonno paterno è infatti risalita dal Montenegro attraversando la Croazia, l'Istria e stabilendosi per un periodo anche a Trieste e Monfalcone, dove ha temporaneamente vissuto parte della famiglia. Il nonno poi andò a vivere a Torino dove conobbe la futura moglie, una donna tedesca, in Italia con la famiglia a causa delle persecuzioni naziste.
L'attrice dimostra grande sensibilità di fronte ai temi dell'immigrazione, è un argomento che affronta con grande umanità. «Bisogna tenere a mente le motivazioni che portano le persone a muoversi - afferma Radonicich-. Chi viene da noi cerca la sopravvivenza, mentre le persone come Ivo e Clara si spostano per cercare lavoro, sono due prospettive molto diverse. L'unico approccio giusto, a mio avviso, è quello che contempla la compassione e la memoria di ciò che in passato siamo stati anche noi. Tutte le operazioni di semplificazione del problema e le manifestazioni di egoismo a cui assistiamo sono molto gravi e contribuiscono ad alimentare un tappeto di indifferenza, l'unica chiave per poter sopportare ciò che accade davanti ai nostri occhi».
Paradossalmente nell'Italia di oggi c'è chi arriva per sopravvivere, ma anche chi, costretto dalle circostanze, se ne va. «Per mancanza di opportunità - osserva Radonicich -. Perché non c'è equità, meritocrazia e molto concretamente per l'assenza di un lavoro in cui realizzarsi. Ivo per esempio ha studiato, vuole fare l'agronomo. Ma nel nostro paese non ha la possibilità di mettere a frutto le sue capacità. E c'è anche un altro fattore. Rispetto alle generazioni passate noi abbiamo molta più facilità ad andarcene. Non solo perché abbiamo accesso a mezzi di trasporto economici, ma soprattutto perché non abbiamo radici. Non ci sono più legami, con la famiglia o con il territorio, che ti tengano radicato in un luogo. Non c'è una famiglia forte, una Chiesa e neppure un partito. Perciò ci si sente liberi quando probabilmente invece si è soli. E allora si parte e si va».
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