Quel malefico di Bobi Bazlen piantato dalla primitiva Duška

TRIESTE La domenica andavano a villa Veneziani, ballavano il charleston e amoreggiavano. Tra loro c’era anche un giovane Gillo Dorfles che volteggiava, guardava le ragazze e ogni tanto andava a mettere il naso nella stanza accanto dove Svevo, fresco della gloria regalatagli dalla ‘Coscienza’, conversava con Bobi Bazlen. A Trieste, nei ruggenti anni Venti c’era un gruppo di ragazzi colti e intelligenti. Belli non proprio, a vedere le foto scattate dall’austriaca Gerti Frankl, quella del ‘Carnevale’ montaliano. La ragazza austriaca era sposata con Carlo Tolazzi, uno della cerchia degli amici di Bazlen. A lei Bobi scrisse montagne di lettere con quel suo stile un po’ jazzistico, che cercava di fermare il tempo mentre tutto fuggiva via, lungo il fiume di Eraclito.
Bobi inventava, fantasticava, faceva della vita letteratura. E come tutti i ragazzi intorno ai vent’anni, si innamorava. Una sua ‘fiamma’, divenuta uno dei suoi “esperimenti più o meno falliti di creare o distruggere felicità coniugali”, come li definiva Montale, era stata Duška Slavik, una ragazza della borghesia slovena di Trieste. Il padre, Edvard, era un avvocato che era stato presidente del circolo Edinost e si era candidato alle elezioni del 1921 nella lista slovena; la madre, Antonija Lavrencic, aveva fatto volontariato durante la guerra; Slavoj, il fratello, si era laureato in legge a Zagabria e nel 1930 si era trasferito all’università di Siena per il dottorato. Poi fu processato dal tribunale fascista per attività sovversiva e, deportato dai nazisti, morì a Mauthausen.
A Siena il giovane aveva conosciuto uno studente calabrese, Mario La Cava, che anni dopo scriverà un libro su di lui, ‘Una stagione a Siena’, da cui alcuni anni fa è stata tratta una riduzione teatrale. Gli Slavik avevano una villa nella parte alta di Cologna, dove si incontrava il notabilato sloveno della città. Duška respirò questo ambiente colto e fu la prima donna a laurearsi in Economia a Trieste. Bazlen, si apprende dalle lettere inviate a Gerti, non poteva stare senza Duška, era geloso di un suo presunto fidanzato. Tra alti e bassi il flirt andò avanti alcuni anni. Ma nonostante conoscesse Duška e l’ambiente da cui proveniva, quando scrisse la sua ‘Intervista su Trieste’, presumibilmente alla fine degli anni Quaranta, in cui definiva la città una cassa di risonanza e non un crogiolo, Bazlen della borghesia slovena sembrò dimenticarsene: “una città che parla un dialetto veneto, una campagna che parla un dialetto slavo, sono affidate a una burocrazia austriaca ineccepibile che parla il tedesco”. Per lui gli sloveni vivevano solo sul Carso e “sono primitivi, chiusi in miti superati”. Eppure nel 1910 solo a Trieste vivevano 56 mila sloveni, un quinto della popolazione della città. Ma per Bazlen non esistevano, anche se li frequentava e ne era amico: Mirko Giaja si trasferì con lui dal liceo tedesco al Petrarca.
Bobi, si sa, è stato quanto di più lontano da un nazionalista, ma per una volta il suo giudizio manca di ampiezza. C’entrava la sua storia con Duška? I due si lasciarono nel 1929. “Quella oca, scrisse a Gerti, ha spifferato che sono entrato in analisi”. Bobi comunque non se ne disinteressò del tutto, fece cadere la ragazza tra le braccia di Carlo Tolazzi, che si era nel frattempo separato da Gerti, e questa volta l’esperimento di combinare le vite degli amici sembra andato a buon fine. I due si sposarono, ebbero due figli, e vissero gli ultimi anni a Caorle, dove Duška morì nel 1979 e Carlo nel 1981. Ma quella intrusione Gerti non gliela perdonò mai. “Bobi complicava il vissuto degli altri”, disse a Daniele del Giudice. “Era un malefico”. —
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