Quattrocento anni dei Gesuiti a Trieste, oggi la lezione di Claudio Magris
TRIESTE Un testimonial d'eccezione per celebrare i quattrocento anni della presenza dei Gesuiti a Trieste. Claudio Magris ha accolto ben volentieri l'invito di padre Luciano Larivera, direttore del centro Veritas, e stasera (7 ottobre) alle 18.30 nella chiesa del Sacro Cuore spiegherà come la sua educazione e la sua crescita interiore siano state influenzate dagli anni di catechismo passati in via del Ronco. Magris aveva sviluppato da giovane un particolare legame con quella parrocchia, fianco a fianco con altri giovani tra i quali c'era anche il coetaneo Franco Richetti, futuro sindaco di Trieste, tanto da inserire la chiesa tra i punti più amati della sua personale geografia dell'anima, come ha scritto dettagliatamente in 'Microcosmi'.
Il professore, anticipa padre Larivera, darà di quegli anni, sospesi tra l'adolescenza e la maturità, una rilettura fatta attraverso le lenti di una frequentazione non solo spirituale. Non sarà una lezione accademica, ma un tributo a quello che Magris sente di avere ricevuto dalla chiesa del Sacro Cuore. Toccando anche temi laici e non confessionali, il professore parlerà di quel piccolo mondo che comprende il San Marco, il giardino pubblico e la chiesa di via del Ronco, un mondo celebrato in 'Microcosmi', il libro con cui vinse lo Strega nel 1997 e nel quale un intero capitolo, l'ultimo, intitolato 'La volta', è dedicato proprio alla chiesa dei Gesuiti. Forse ricorderà la fresca acquasantiera nella quale, come scrive nel racconto, tuffava la mano per pulirsi dalla pioggia fuligginosa di cui si era inzuppato scappando via dal giardino pubblico, e la massiccia e rozza porta di noce dell'ingresso; dirà di come sognasse di fare il sagrestano guardando il signor Beniamino accendere le candele e probabilmente dedicherà un ricordo a padre Guido, il sacerdote che ha avuto un ruolo importante nella sua formazione.
Proprio l'aspetto pedagogico fu, accanto a quello pastorale, uno degli obiettivi della fondazione del Collegio dei Gesuiti a Trieste, anche se i motivi per cui nel 1619 i padri Joseph Metzler, boemo, e Gregorius Salateo, goriziano, arrivarono all'ombra di San Giusto erano più vasti. Motivi che vanno individuati nella politica controriformistica della casa d'Austria, che voleva procedere a una ricattolizzazione delle aree che più avevano risentito dell'influsso della Riforma. Collegi dei gesuiti sorsero infatti a Graz, Klagenfurt, Lubiana e Gorizia.
Ma dietro il loro arrivo a Trieste, dove la riforma luterana non rappresentava un grosso pericolo, c'era dell'altro. Secondo il veneziano Paolo Sarpi gli Asburgo volevano stendere un 'cordone sanitario' intorno ai domini della repubblica veneta, vista come sede di ogni eresia e bollata come apostata nel 1606. Trieste era l'ultimo avamposto imperiale nell'Adriatico e la presenza cattolica andava pertanto rafforzata. L'arrivo dei Gesuiti non fu però accolto favorevolmente. Domenico Rossetti parlò di avversione dei triestini e la polemica tra l'ordine e la città rimase per lungo tempo. Ciononostante, anche grazie all'appoggio imperiale, la Compagnia cresceva. Nel 1682 venne consacrata la chiesa di Santa Maria Maggiore che, assieme al seminario, al collegio e al convitto costituiva una sorta di cittadella di studio ed educazione. Dopo la soppressione della Compagnia, voluta nel 1773 dal papa, i gesuiti lasciarono la chiesa di Santa Maria Maggiore. Successivamente l'esplorazione dei suoi vasti sotterranei diede la stura alla nascita di leggende metropolitane come quella, rivelatasi infondata, della 'camera rossa' dell'Inquisizione. L'edificio dell'ex collegio venne adibito per molti anni a caserma militare, a carcere femminile fino al 1950, quindi a centro di raccolta per i profughi istriani dal 1953. Ma i Gesuiti erano già tornati in città agli inizi del Novecento, trovando nella chiesa di via del Ronco, consacrata nel 1910, la loro nuova residenza. —
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