Quanta poesia nei testi di Guccini parole nella genesi del Novecento

La filologa Gabriella Fenocchio in “Canzoni” ha esaminato il lavoro dell’artista modenese Ne è uscito un volume prezioso con note e commenti



«Le canzoni di Francesco Guccini possono autonomamente e a buon diritto collocarsi nel panorama poetico del Novecento italiano. D’altro canto, se è vero che lo statuto della canzone si identifica con l’intreccio di parole, musica e voce, in molti casi appare piuttosto evidente che al testo possa essere riconosciuta una vita autonoma».

A scandagliare i testi di uno dei cantautori nazionali più amati di sempre è la filologa e studiosa di letteratura italiana Gabriella Fenocchio in un volume intitolato semplicemente “Canzoni” (Bompiani Overlook, pagg. 352, euro 20,00): facendo ricorso ai suoi “ferri del mestiere” mostra i segreti stilistici, ritmici, retorici nascosti tra i versi. Con le note e i ricchissimi commenti, ne esce un libro di poesia a tutti gli effetti, che svela come la sapiente tessitura compiuta da Guccini contribuisca in modo fondamentale a suscitare emozioni negli ascoltatori. “Dio è morto”, “La locomotiva”, “Radici”, “Il vecchio e il bambino”, “L’Ultima Thule”, “Piccola città”, “Culodritto” “Eskimo”, “Auschwitz”, “Signora Bovary”, “Farewell”, “Gulliver”, “Bologna”: brani usciti dal 1966 fino al congedo dalla carriera musicale del 2012, che tutti conoscono ma di cui forse non si sono colte le numerose sfumature di significato e che finalmente si manifestano in tutta la loro densità letteraria, nei molteplici echi intertestuali, nel “cuore di simboli pieno”.

Fenocchio attinge anche alla storia personale che in qualche modo l’artista modenese ha fatto trapelare dalle pagine dei suoi romanzi autobiografici, a partire dalla trilogia “Cròniche epafániche” (1989), “Vacca d’un cane” (1993), “Cittanòva blues” (2003) e nella sezione fotografica sono inclusi alcuni testi originali scritti a mano (o con una vecchia macchina da scrivere) da Guccini, con tanto di note, appunti, correzioni e tormentati ripensamenti che aggiungono un ulteriore strumento di comprensione della genesi di alcuni versi.

Vengono alla luce elementi di novità di testi «forse troppo vittime di una fama che ha contribuito a sbiadirli e, viceversa di ritrovare un sostrato profondo in quei componimenti, magari molto cari all’autore che hanno goduto di una fortuna meno duratura».

Chi pensa i testi di canzone non possano leggersi slegati dalla musica, verrà smentito da questo volume, prezioso, e, citando la stessa autrice, «tanto più nel nostro tempo difficile, che fa delle parole strumenti di violenza o di menzogna oppure simulacri del vuoto, l’etica della parola di Guccini può almeno accendere la speranza che la discrezione e la coerenza possano essere qualcosa di diverso dall’utopia». —

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