Quando Wanda Wulz con le foto futuriste entusiasmò Marinetti
di MARIANNA ACCERBONI
Un'astronave di luce sul colle di San Giusto e all'interno, nell'affascinante e avvenieristico Alinari Image Museum, ospitato nel Bastione Fiorito del Castello, un viaggio inedito attraverso la migliore arte fotografica del Friuli Venezia Giulia tra '800 e '900.
È questo, dopo le esposizioni dedicate ai grandi fotografi di mare e di terra, Pace e Sellerio, il nuovo exploit di alta qualità, che la Fratelli Alinari, la più antica azienda fotografica al mondo, propone da oggi a Trieste, detentrice di un'importante tradizione in ambito culturale e in particolare nell'arte del terz'occhio, dovuta alla sua trascorsa posizione di secondo porto d'Europa e, da sempre, di porta d'Oriente, a cavallo tra civiltà mediterranea, nordica e levantina.
Tradizione e futuro s'intrecciano anche in questa rassegna, intitolata "Lampi di luce sul Friuli Venezia Giulia", che espone fino al 21 maggio i capolavori di molti fotografi-artisti degli archivi Alinari, dai Wulz a Italo Zannier, in una sorta d'immersione totale nel concetto d'immagine, proposta attraverso un percorso ragionato e didattico, con connotazioni anche ludiche.
Si parte dalla sala analogica, in cui è esposta una sequenza di foto su carta in bianco e nero o con qualche timido accenno cromatico fin de siècle, come nella stampa all'albumina colorata a mano di Giuseppe Wulz, che ritrae nel 1885 a Miramare l'arciduchessa Sofia, moglie di Rodolfo d'Asburgo. Per approdare - attraverso molteplici, sintonici e soffusi coup de théâtre virtuali - alla sala monografica digitale e all'ampio e articolato "corridoio didattico", che approfondiscono il tema della fotografia nel Friuli Venezia Giulia mediante ulteriori immagini tradotte in una multimedialità di assoluta avanguardia e raffinatezza. La visita si conclude in una saletta cinematografica, in cui godersi con gli occhialetti appositi delle fantastiche immagini stereoscopiche, cioè in 3D, della Trieste del passato, come la corsa su un tram d'epoca completamente aperto e ventilato.
Il ponte tra passato e futuro, simbolizzato dalla collocazione di questo museo unico al mondo (c'è qualcosa di analogo a Londra e Parigi, ma tecnologicamente superato), è costante lungo il percorso espositivo. E la reinterpretazione e l'approfondimento in chiave scenografica attraverso monitor di ultimissima generazione e altissima definizione, grandi proiezioni, postazioni interattive e sorprese come la "campana sonora", da cui scaturiscono spiegazioni mirate a chi si trova sotto, l'oculus che ci immerge in una percezione a 360 gradi dell'antica piazza Unità, l'olografia che accoglie il visitatore all'entrata, rappresentano una formulazione inedita della comunicazione e della conoscenza. Claudio de Polo, presidente Alinari, trasformato dall'olografia in personaggio virtuale, racconta per esempio il passaggio dalla fotografia al concetto d'immagine. Precisando che «l'attività di raccolta e salvataggio d'importante materiale fotografico svolta da Alinari ha permesso che questo non andasse disperso e che a Firenze si costituisse uno dei cinque più grandi archivi fotografici al mondo: 1700 sono quelli custoditi da Alinari, in cui son ben rappresentati triestini e friulani che raccontano momenti significativi di questa regione». Parole scandite simbolicamente a due passi da un apparecchio fotografico del 1910.
Italo Zannier, fotografo e storico della fotografia, friulano attivo a Venezia, l'archivio e la collezione del quale sono conservati al Museo Nazionale Alinari della Fotografia, è il curatore della mostra assieme a Emanuela Sesti, dirigente scientifico di Aim. Sua è la sequenza di foto che ci raccontano la povertà negli anni '50 e '60 "nel rude Friuli contadino", contrapposto alla "bionda Trieste", come scrive l'autore. Un contrappunto molto dissonante nel passato, quello tra il Friuli e la nostra città, anche se l'immagine rurale viene interrotta dal nobile friulano Enrico del Torso. Certamente i Wulz, il fondatore Giuseppe, con il figlio Carlo, i cui ritratti di stile pittorialista occupano un posto significativo nella fotografia internazionale del XX secolo, e soprattutto Wanda, che, con la sorella Marion, mandò avanti l'atelier fino al 1981, testimoniano un mondo di agi altoborghesi e talvolta bohémien, d'internazionalità e di eleganza ben diversi. E d'avanguardia mondiale, con il celebre "io+gatto", presente oggi anche al Moma di New York, per cui Wanda, la migliore tra le poche fotografe futuriste, entusiasmò Marinetti. Altre punte di diamante il servizio su Città Vecchia di George Tatge per Alinari nell'87, uno scatto della Modotti, i Pozzar, Donato Riccesi.
«Caratteristiche delle collezioni Alinari Fvg - precisa Sesti - è nell'800 il richiamo mitteleuropeo, poi il fatto che Alinari in Friuli e a Trieste fino agli anni '60 viene a fare molti servizi con un occhio diverso dai "locali" e infine la grande stagione della fotografia italiana neorealista degli anni '50, che proprio qui ha un'importante manifestazione attraverso il Gruppo friulano per una nuova fotografia, fondato da Zannier nel '55 e presente in mostra con vari autori. Senza contare l'unicità nel panorama italiano dei Wulz, autori, con altri, di respiro internazionale».
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