Quando Toscanini suonò a Fiume in onore del Vate
TRIESTE La più lunga tournée mai immaginata. Tra preparazione e realizzazione prese tre anni: dal gennaio 1919 al giugno 1921. La volle Arturo Toscanini con la sua nuova orchestra che diventerà l’Orchestra Sinfonica della Scala. Il tour, o piuttosto il tour de force, si compì in 237 giorni che toccarono 68 città per complessivi 24mila chilometri (più della metà della circonferenza della terra). I concerti furono 125.
Stranamente, di questa impresa titanica, nonostante le numerosissime e dettagliate pubblicazioni su Toscanini (vedi le biografie di Harvey Sachs) le notizie sono poche e nemmeno troppo dettagliate. Vi pone rimedio adesso Mauro Balestrazzi con lo straordinario libro “La tournée del secolo” (LIM, euro 32) che, a pochi giorni dall’uscita, è già best seller.
La devastante prima guerra mondiale da cui usciva l’Italia aveva lasciato il Paese con problemi economici enormi. La Scala, conti in rosso, aveva chiuso i battenti. Ma alla dichiarazione ufficiale del responsabile della gestione del Teatro milanese, duca Uberto Visconti di Modrone, qualcuno aveva risposto con una lettera fremente. La più lunga da lui scritta in tutta la sua vita. La firmava Arturo Toscanini che chiedeva per La Scala l’autonomia completa (la otterrà, diventando il primo Ente Autonomo d’Europa, nel 1921). Ma il Maestro, proprio in un momento tanto delicato, meditava qualcosa di più: mettere in atto una operazione faraonica: far musica in giro per il mondo con un’orchestra di 89 strumentisti ancora non perfettamente allenati. Lo sarebbero diventati dopo 20 mesi di “gavetta” sotto la bacchetta del più grande direttore di tutti i tempi.
Il progetto contemplava tre fasi: una prima parte italiana (38 giorni, dal 23 ottobre al 29 novembre 1920) 31 concerti in 21 città; una seconda parte, imponente, in Stati Uniti e Canada (87 giorni, dal 28 dicembre 1920 al 24 marzo 1921) 59 concerti in 41 città; una terza parte in Italia (58 giorni, dal 26 aprile al 16 giugno 1921) 35 concerti in 19 città. La tappa a Trieste avvenne nella prima parte italiana: lunedì 22 novembre 1920, al Politeama Rossetti.
Toscanini mancava da Trieste da 14 anni. Vi aveva diretto giovanissimo. Adesso era un divo. Le cronache ricordano che, nonostante i prezzi proibitivi del botteghino, il teatro era “letteralmente gremito”. In programma Vivaldi, Concerto grosso n.8; Brahms Sinfonia n.2; Sinigaglia, Piemonte; Debussy, Iberia; Pick-Mangiagalli Notturno e Rondò Fantastico; Wagner. I Maestri cantori di Norimberga, preludio. Un percorso che dimostra la volontà del musicista di unire il classico al contemporaneo, con un tocco speciale per il pubblico triestino, notoriamente wagneriano.
Sempre le cronache segnalano applausi scroscianti fin dall’apparire di Toscanini che dimostravano di “quale e quanta vivissima simpatia godesse”.
Prima della partenza del treno speciale da Trieste (per Treviso, tappa successiva) un incidente: il furto di tre valigie di Toscanini già issate nella carrozza. Ma “per fortuna i ladri furono visti e acciuffati”. Una nota invece di grande prestigio triestino se la meritò la Società Cosulich che, quando venne meno l’aiuto promesso dal Governo per le facilitazioni da praticare ai viaggi della tournée, se ne assunse gli oneri. Tra l’altro, sulla nave Wilson, durante la traversata Napoli-Usa mise a disposizione del maestro Toscanini una elegantissima cabina in appartamento speciale e un salone per le prove.
La tappa del tour a Trieste era stata preceduta da quella a Fiume, dove Toscanini era stato chiamato da Gabriele d’Annunzio divenuto suo grande amico, e al quale, e ai Legionari, il concerto era stato dedicato. Il Vate aveva riservato a Toscanini un’accoglienza vibrante. Da allora, sia il maestro sia i componenti dell’orchestra, portavano all’occhiello il nastrino di Ronchi.
Carla Toscanini, la moglie, al seguito di tutto il percorso italiano del tour, raccontava che a Fiume c’era stata una gran festa con petardi e mortaretti, una scheggia dei quali aveva graffiato il cappello di Toscanini che però non aveva fatto rimostranze. Anzi, la sera dopo il concerto erano stati invitati da d’Annunzio in una locanda a bere l”ornitorinco” liquore molto alcolico a base di marasche e tutti quanti, maestro compreso, si erano messi a cantare a squarciagola canti patriottici.
Il sentimento patriottico di Toscanini (dopo tutto, era figlio di un garibaldino) e la fiera convinzione che Trento e Trieste dovessero tornare nei confini nazionali, si era espresso in modo esplicito quando, nel settembre 1917, in pieno conflitto, aveva raggiunto il fronte e mentre le truppe italiane conquistavano il Monte Santo, dirigeva gli Inni (Marcia Reale, inno di Garibaldi, Inno di Mameli) con una banda militare raccogliticcia da lui formata. Il gesto gli valse una medaglia d’argento al valor militare appuntatagli sul petto dal generale Capello e “con due baci” che lo fecero “piangere come un bambino. Mi sento sopraffatto da questo segno di altissimo onore che non mi pare di aver meritato”. Val la pena ricordare che, per tutto il periodo della guerra, Toscanini non si fece pagare per le sue prestazioni, offrendo il corrispettivo per i musicisti in difficoltà.
Quanto alla grande tournée, quella certo gli fruttò oro e onori. Era oramai il direttore più celebre del mondo (aveva 53 anni) e i resoconti delle esecuzioni pullulano di aggettivi traboccanti entusiasmi indescrivibili per lui e per la sua orchestra. Per lui, anche scene di delirio da parte del pubblico femminile. Come si sa, Toscanini era un grande seduttore. —
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