Quando Marisa Madieri sognava di volare

Foto, disegni e storie raccontano l’autrice di “Verde acqua” in una mostra a Trieste
Di Alessandro Mezzena Lona

In una foto potresti scambiarla per Amalia Earhart. L’aviatrice americana che volle vedere il mondo dall’alto del cielo. Davanti all’obiettivo, Marisa Madieri sorride a labbra strette. Quasi a voler contenere la gioia enorme di potersi inerpicare fin lassù, verso l’azzurro, a bordo di un aereo. In un’altra immagine la rivedi bambina, insieme al padre e alla sorella. Quando ancora viveva a Fiume. Prima che se ne andasse con la famiglia verso Trieste. Esule per sempre.

Ma non basta. Perché all’interno della mostra “Piccole gocce nell’oceano del vissuto. Marisa Madieri e l’emozione della scrittura”, che resterà aperta fino al 14 febbraio nella Sala esposizioni della Biblioteca “Stelio Crise”, in largo Papa Giovanni XXIII 6 a Trieste (da lunedì a giovedì 10-18.30, venerdì e sabato 9.30-13.30. Chiuso nei giorni festivi), si finisce per ricomporre un’immagine dell’autrice di “Verde acqua” e della “Radura” che va al di là di quello che si è già scritto di lei.

La passione per l’aviazione colpisce, forse, prima di tutto il resto. Ma anche il talento artistico che avrebbe potuto traghettarla ben al di là della scrittura. Ci sono alcuni disegni e acquarelli, realizzati da Marisa Madieri quando aveva vent’anni, davvero sorprendenti. Perché anticipano ciò che, più tardi, i suoi libri avrebbero portato in luce. La sua esigenza di guardare sempre la realtà dritta negli occhi. Ma, al tempo stesso, il desiderio di lasciare che dentro quel paesaggio oggettivo si muovessero storie e personaggi rielaborati dall’immaginazione.

Per tutta la vita, Marisa Madieri, nata a Fiume nel 1938 e morta a Trieste nel 1996, ha cercato quello che Bruna Ivancic, nel quaderno di testi abbinato alla mostra (curato da lei stessa insieme a Elvio Guagnini, Pedro Luis Ladrón de Guevara e Anna Storti), definisce «un principio di verità, sentito come irrinunciabile». Ed è nata da lì l’idea di affidare alle parole, al foglio scritto, i ricordi del suo abbandono di Fiume, dell’arrivo nel campo profughi del silos a Trieste. Mettendo assieme quel piccolo gioiello che è “Verde acqua”: una testimonianza sull’esodo che va molto oltre il semplice memoriale della tragedia. Perché diventa, pagina dopo pagina, ricerca appassionata del valore trascendente in una vicenda terribilmente immanente.

Maestra «nel levare», come la definisce Claudio Magris (che ricorda come «non ho mai pubblicato una riga per trentaquattro anni senza averla discussa con lei - soprattutto potato, grazie a lei - perché era grande maestra nel levare»), scrittrice dallo stile semplice, rarefatto, eppure dotato di una grande forza, Marisa Madieri si rivela un’autrice che nasconde sfumature, ombre inquiete, nel rilucere della sua prosa. «Il lavorio» di cui parla Ermanno Paccagnini le permetteva di mettere a fuoco i sentimenti. Ma anche quei «silenzi della vita» che incantavano un editore raffinatissimo come Vanni Scheiwiller.

E tanti, tanti lettori in giro per il mondo assieme a lui.

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