Quando i “Figli” ti rovinano la vita sono risate amare sul disagio sociale

Sono diverse le considerazioni che questa bella commedia, balzata subito al terzo posto del box office, suggerisce sulle ultime tendenze del giovane cinema italiano commerciale.
Ci sono ad esempio le risate amare sul reale disagio sociale, modellate su certe commedie di successo italiane (“Smetto quando voglio”) o francesi (“7 uomini a mollo”), e che sono la nuova forma di “impegno” (quello politico o giudiziario sui grandi temi oggi è lasciato ai maestri come Bellocchio o Amelio).
E in “Figli” c’è anche la tendenza cosiddetta “Nuovo cinema Roma”, ovvero il ritorno della centralità della capitale nella scelta degli interpreti e delle ambientazioni sui nostri schermi.
Il film si svolge dunque al Testaccio, il popolare quartiere di Roma, raccontato con toni caldi e accoglienti, dove è ubicata sia la casa della coppia di protagonisti, Sara e Nicola (Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea), sia la salumeria di quest’ultimo. E nelle loro fughe dalla quotidianità domestica, Sara e Nicola si addentrano nei vicoletti di Trastevere, mostrati nel loro romantico fascino notturno. “Figli” è appunto la storia surreal-comica di questi felici coniugi romani con una piccola di sei anni, che troppo tardi per tornare indietro scoprono le difficoltà del secondo figlio. Entrano così in un “incubo” con l'arrivo del neonato Pietro, tra lo stupore e il cordoglio di parenti e amici. Tutto improvvisamente cambia, non si dorme più, emergono vecchi rancori, il conflitto con i genitori ex sessantottini viene rinfocolato, le suocere diventano poco disponibili, le babysitter (quelle giuste) non si trovano e anche gli amici possono fare poco, in preda spesso alle loro stesse situazioni. Ecco allora anche l'”orrore” delle feste mascherate, dei pediatri guru, delle chat scolastiche, dei pianti dei neonati, del sonno perso, della divisione dei compiti nella coppia, insomma l'”inferno” dei figli da crescere.
Tutto questo nello spirito del compianto Mattia Torre, l'autore di “Boris”. È sua infatti questa brillante commedia, firmata da Giuseppe Bonito dopo la prematura scomparsa di Torre la scorsa estate. Di “Figli” quest’ultimo è il vero “padre”, e il primo dei titoli di coda è il nome di Torre, che aveva sviluppato il soggetto da un proprio monologo televisivo, “I figli ti invecchiano”, scritto per Valerio Mastandrea.
Il film vive delle molte battute che colgono nel segno, dei lampi della scrittura dello stesso Torre, incline fin dai tempi di “Boris” a un realismo con gustose impennate surreali (come nella serie tv “La linea verticale”, sempre con Mastandrea, quasi gemella di questo film). Personaggio cult del film è quello interpretato da Stefano Fresi, un amico giornalista di Nicola che vive perennemente frustato dai suoi due marmocchi, che si accaniscono sulle sue spalle con i loro tubi di plastica.
Spesso ci si lamenta che le nostre commedie, le commedie italiane, a differenza di quelle francesi, non sappiano più raccontarci come siamo veramente, non riescano a dare un quadro per quanto agrodolce della nostra quotidianità. “Figli” invece sì, e ci dà una piccola preziosa lezione. Ma senza spocchia, con un sorriso insieme dolce e amaro. —
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