Può il bianco tradurre il nero, o l’etero il gay? La biologia è pericolosa, basta la preparazione

È polemica in Europa dopo che la traduzione delle poesie dell’afroamericana Amanda Gorman è stata tolta a un’autrice olandese 
Amanda Gorman legge la sua “The Hill We Climb” all’insediamento del presidente Joe Biden
Amanda Gorman legge la sua “The Hill We Climb” all’insediamento del presidente Joe Biden

Può un traduttore bianco tradurre uno scrittore nero? E un uomo può scrivere con voce di donna? La risposta sembrerebbe tutt’altro che pacifica oggigiorno. Basta guardare lo scandalo nato attorno a Amanda Gorman, la giovane poeta diventata una star mondiale dopo aver letto la propria poesia all’insediamento del presidente Biden. Qual è il problema? Gorman è giovane, bellissima e talentuosa. Ha appena firmato un contratto con IMG Models, agenzia di modelle e modelli, con William Morris Endeavor, una delle agenzie colosso dello spettacolo, con uno studio legale e da ultimo con un’agenzia letteraria. Stiamo parlando quindi di poesia, ma non solo.

Gorman è tradotta in tutto il mondo. In Olanda a tradurla era stata scelta Marieke Lucas Rijneveld, autrice sulla cresta dell’onda che ha un’identità non binaria, non si riconosce cioè nel genere femminile né in quello maschile. Sui giornali olandesi scoppia la polemica: Rijneveld sarebbe troppo bianca per tradurre un’afroamericana. L’editore olandese fa mea culpa, Rijneveld si ritira dall’impresa, gli editori corrono ai ripari scaricando traduttori e sostituendoli con altri che li mettano al riparo attacchi identitari.

I giornali di tutta Europa saltano sul carrozzone della polemica: ma allora solo i neri possono tradurre i neri? E solo i bianchi possono leggere i bianchi? E solo i gay scrivere di gay? Una vertigine che è stata spesso associata al nome cancel culture, la cultura che sembrerebbe portare a una dittatura del politicamente corretto, a un ginepraio di asterischi e identità liquide dove è quasi impossibile non offendere qualcuno. È solo una questione di linguaggio o in gioco c’è qualcosa di più grande? Stiamo difendendo la libertà o l’appropriazione culturale? Anche a casa nostra si dibatte sulla questione.

«Spesso si cerca un’“affinità” tra chi traduce e chi è tradotto - dichiara Claudia Durastanti, scrittrice e traduttrice -. Ma sarebbe bello capire come viene politicamente costruito il concetto di “affinità”. Non esistono affinità naturali e biologiche, esistono affinità culturali modellate in un sistema».

«Quando l’espressione in parola viene fatta dipendere da questioni biologiche devono suonare molti campanelli d’allarme» le fa eco Fabio Polidori, docente di Filosofia Teoretica e della Traduzione all’Università di Trieste. «Ogni volta che entra in scena qualcosa di biologico la pratica democratica della libertà è a rischio».

Gorman sembrerebbe aver mosso le grandi questioni dell’etica e dello spazio politico della cultura. Ma se invece questa corsa al politicamente corretto non fosse altro che una mossa di marketing? La pensa così Martina Testa, traduttrice e editor della casa editrice Sur: «A nessuna attivista di colore italiana è venuto in mente di polemizzare sul fatto che a tradurre “La ferrovia sotterranea” di Colson Whitehead sia stata una bianca. Perché? Perché questa pubblicazione è stata un’operazione letteraria seria, rigorosa, complessa, e non un’operazione di marketing di un’identità. E allora la traduzione letteraria resta quello che deve essere: una questione di competenza e di mediazione culturale, e non di visibilità o di rappresentanza identitaria».

Viene da chiedersi se tutto questo discutere di appropriazioni culturali e inclusioni identitarie qui nella vecchia Europa non sia però la spia qualcos’altro: una povertà di dibattito proprio e una certa sudditanza culturale al mondo anglosassone dove la questione poggia su realtà storiche e sociali molto differenti. In Italia le battaglie della cancel culture sono spesso state associate alle giovani generazioni e a volte c’è il sospetto che dietro l’ostentata cura nel sostituire asterischi alle declinazioni di genere non ci sia una reale consapevolezza della storia sociale e un’adeguata attenzione alle pratiche. Se così fosse quelle battaglie si trasformerebbero facilmente in una dittatura del politicamente corretto dove a chiudersi sarebbero gli spazi dell’anticonformismo e dello scandalo che sono sempre stati la linfa di una certa creatività. Lavorando per imitazione a volte si sbaglia bersaglio. E se nel mondo anglosassone si lotta per aprire più spazi a voci di valore che parlino di realtà “altre” in prima persona e rappresentino la grana sfaccettata della società, in Italia il problema è forse più quello di un presente che non lavora abbastanza affinché il nostro futuro sia identitariamente più ricco e complesso.

Ma allora tutto questa censura sui traduttori? «Ma la questione non è mai stata questa - precisa Paola Gentile, docente di Neerlandese alla Scuola superiore di Lingue moderne per Interpreti e Traduttori di Trieste. «In Olanda la polemica attorno ad Amanda Gorman è nata perché il suo editore, per un’operazione di marketing, ha presentato Rijneveld come una traduttrice, cosa che non è. La questione quindi, da un lato, di merito: un traduttore può tradurre qualsiasi autore purché ne abbia le competenze e la conoscenza del mondo culturale a cui l’autore appartiene. E dall’altro lato, essendo la società olandese più multiculturale della nostra, è stata l’occasione per far luce su poetesse e traduttrici di grande valore di origine africana».

Lo scandalo “Lost in traslation” serve allora a ricordarci che quando si parla di letteratura è opportuno andare cauti, e ricordarsi che è terreno di sapere rigoroso e libero più che di ideologie e militanze. —


 

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