Premio Campiello, il triestino Covacich nella cinquina

Quattordici anni fa era rimasto fuori per pochi voti, ora si prende una bella rivincita con il libro “La città interiore”
03/04/2011 Roma, Auditorium, Festa del Libro e della Letteratura, Libri Come, nella foto Mauro Covacich
03/04/2011 Roma, Auditorium, Festa del Libro e della Letteratura, Libri Come, nella foto Mauro Covacich

PADOVA. Adesso i conti tornano. E sì, perché quattordici anni fa Mauro Covacich era rimasto fuori dal Campiello per un paio di voti. Ieri, lo scrittore triestino che vive a Roma ha conquistato alla prima tornata un posto nella finale del Premio, ideato e organizzato dagli industriali del Veneto. Solo Stefano Massini con "Qualcosa sui Lehman" (Mondadori) ha incassato più voti di lui, otto per l'esattezza. Sette preferenze, le stesse di Covacich con "La città interiore" (La nave di Teseo), sono andate a Alessandra Sarchi con "La notte ha la mia voce" (Einaudi).

La città interiore di Covacich un non luogo dove ritrovarsi

La casa editrice di Torino ha dovuto aspettare la terza tornata di votazioni per mandare in finale al Campiello (al Teatro La Fenice di Venezia sabato 10 settembre, condotta da Mia Ceran e Enrico Bertolino), la favoritissima della vigilia. Ovvero, l'abruzzese Donatella Di Pietrantonio con "L'Arminuta" (Einaudi). L'ultimo posto in cinquina l'ha strappato la romana Laura Pugno con "La ragazza selvaggia" (Marsilio), che ha bruciato in un incertissimo testa a testa Giovanni Montanaro con "Guardami negli occhi" ( Feltrinelli).

«Sono felice, per me e per tutti quelli che credono in questo libro e nel mio lavoro», ha detto Covacich avvisato al telefono della sentenza emersa ieri mattina a Palazzo Bo di Padova, dove si è riunita la Giuria dei letterati. Doppiamente felice Elisabetta Sgarbi, con tutto lo staff della Nave di Teseo, che alla sua prima partecipazione al Campiello ha portato a casa anche la vittoria del Premio per l'opera prima. Merito degli undici affascinanti racconti inseriti da Francesca Manfredi nel suo libro "Un buon posto dove stare".

Parte la maratona Campiello, Bertolino e Mia Ceran cerimonieri della premiazione

Chi, invece, ha rischiato il divorzio pur di onorare il suo mandato di presidente della Giuria dei letterati è l'attrice Ottavia Piccolo. Travolta dai poco meno di 300 romanzi che sono arrivati quest'anno al Campiello, rimasti poi 78 in vista della scelta dei finalisti, ha visto seriamente traballare gli equilibri della sua vita privata. «Per un bel po' ho dovuto concentrarmi sulla lettura. Non è stato facile, ma ne valeva la pena». Più diretto Roberto Vecchioni, il professore della canzone: «Penso proprio che per quest'anno non toccherò più un libro. Mi sono consumato gli occhi e la mia testa è ancora intasata da tutte le storie che ho sentito raccontare tra le pagine». Prima di chiudere, non ha risparmiato la stoccata finale: «Non si capisce perché tutti devono scrivere».

Risposta semplice: perché ogni anno arrivano nelle librerie romanzi ottimi. Lo conferma un lettore attento e qualificato come Ermanno Paccagnini, docente di Letteratura italiana all'Università Cattolica di Milano: «La mia cinquina dovrebbe allargarsi a una dozzina», ha detto prima di esprimere le sue cinque preferenze. Rispedendo al mittente, se ce n'era bisogno, la sentenza emessa parecchi anni orsono dalle neoavanguardie sulla morte del romanzo.

Della "Città interiore" di Covacich è piaciuta soprattutto la capacità di liberarsi dei suoi vecchi personaggi. Molto spesso creati duplicando, in maniera narrativa, un se stesso che «rischiava di diventare ingombrante», secondo il nuovo giurato Lorenzo Tomasin. E se il libro trasforma Trieste nell'elemento capace di unire vite e storie apparentemente lontane tra loro, questo impasto di finzione e realtà si rivela il più adatto a costruire un'autobiografia dell'autore riflessa nei destini degli altri. Evitando di aggrapparsi a quello che Carlo Emilio Gadda definiva il più lurido dei pronomi: cioè, io.

La giuria dei 300 lettori, che sceglierà il miglior libro del Campiello 2017 a Venezia, non avrà vita facile. Perché la cinquina di quest'anno sembra molto solida. Stefano Massini, uno dei pochi autori italiani di teatro contemporaneo davvero apprezzati, mette a fuoco la storia della famiglia Lehman, immigrati ebrei tedeschi capaci di creare un impero bancario in America. Arrivato al collasso con la grande crisi del terzo millennio. Alessandra Sarchi fa della malattia di una donna, che perde l'uso delle gambe dopo un incidente, una storia in equilibrio tra il dolore e l'impossibile.

E se Donatella Di Pietrantonio sceglie di dar voce a un piccolo mondo antico, l'Abruzzo aspro e mitico di una ragazza che entra nell'orizzonte di una famiglia all'improvviso, Laura Pugno inventa la storia di una donna selvaggia che per anni ha speso i giorni a orientarsi tra le ombre arcane dei boschi. Mentre a pochi metri di distanza la società la ignorava.

Non ce l'ha fatta a entrare nella cinquina Gianfranco Calligarich, il triestino nato all'Asmara. Sono arrivate parole di lode per il suo romanzo "La malinconia dei Crusich" (Bompiani), ma un solo voto: quello di Paccagnini. Troppo poco.

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