Porpora: «Feci coming out alla morte di Pasolini»

Marcasciano in scena al Miela con lo spettacolo “Il sogno e l’utopia”: un invito a conoscere tra musica, letture, video inediti
Di Elisa Grando

«Il mio coming out è stato al liceo, in un paesino del Sud. Il contesto non era dei più aperti. In occasione dell'omicidio di Pier Paolo Pasolini, il collettivo della scuola mi chiese di dichiararmi. E con molte paure lo feci: fu molto liberatorio». È uno dei ricordi più importanti di Porpora Marcasciano, presidente onorario del Movimento identità transessuale (Mit) e da sempre protagonista delle battaglie per i diritti del movimento gay, lesbico e trans, che questa sera condividerà tanti altri pezzi di vita vissuta nel monologo "Il sogno e l'utopia. Biografia di una generazione", alle 21 al Teatro Miela. Lo spettacolo teatrale fa parte del Trieste Film Festival col progetto "Varcare la frontiera" di Cizerouno dedicato alle identità di genere.

Intanto il festival ha annunciato i primi premi: il "Cinema Warrior-Cultural Resistance Award", dedicato ai "guerrieri" che lavorano dietro le quinte, va al cineasta russo Vitalij Manskij. Il premio della sezione TriesteFF Art&Sound va invece al documentario "Koudelka Shooting Holy Land" di Gilad Baram: andrà in onda a primavera su Sky Arte HD. Infine il Premio CEI-Central European Initiative va a Cristi Puiu e al suo "Sieranevada", in programma questa sera.

Lo spettacolo di Porpora Marcasciano, invece, ci riporta agli anni '70: «È un reading accompagnato da video inediti, foto e la musica del tempo, da Lou Reed a David Bowie, da Claudio Lolli al Banco, nato per presentare il mio libro "AntoloGaia" (edito da Alegre, ndr.). Non è uno spettacolo nostalgico, ma un invito a conoscere».

Sentiremo tutti episodi di vita vissuta?

«Descrivo solo personaggi e situazioni reali del periodo fino a quando è arrivato l'Aids che ha cambiato tutto, la visione delle cose, delle relazioni, della sessualità. Basti dire che i giornali avevano definito l'Aids "la peste gay": con una tale simbologia s'insinuano paura e diffidenza».

Dal dibattito in Italia alle posizioni di Trump, la battaglia per i diritti è ancora al centro dell'attualità…

«Allora il mio coming out fu preso bene, anche perché il contesto culturale e politico di quegli anni lo permetteva. Oggi uno studio ha dimostrato che il termine più usato in situazioni di bullismo è "frocio". Lo spettacolo è anche una riflessione su cosa abbiamo perso e guadagnato da allora».

E cosa abbiamo perso?

«La voglia e la gioia di ribellarci, di combattere, quindi di costruire: i diritti non sono scontati e non si mantengono vita natural durante, c'è sempre qualcuno che li rimette in discussione. Ci vogliono tensione e attenzione costanti. Oggi invece ci aspettiamo che le cose ci piovano in testa dall'alto. Abbiamo perso l'euforia di quegli anni, siamo più disillusi».

Cos'ha guadagnato invece il movimento Lgbt?

«Visibilità: prima dichiararsi gay, lesbiche e trans non era scontato. Sulla questione dei diritti ci penserei un po': l'Italia si è avvitata su se stessa. Senza girarci intorno, non è un paese laico, non cammina con la modernità».

La legge sulle unioni civili è stata raggiunta…

«In realtà la politica ha paura di affrontare certe questioni e lo fa comunque con grandi dibattiti. E non parlo nemmeno più di destra e di sinistra: altri paesi come la Francia, la Gran Bretagna, i paesi nordici, sono riusciti a legiferare nonostante le divisioni politiche».

Intanto la battaglia per celebrare le unioni civili anche nella sala matrimoni del Comune di Trieste è stata vinta…

«La questione è simbolica: negare la sala significa non dare lo stesso riconoscimento che si dà agli altri. Nella battaglia per i diritti anche una parola può fare la differenza: non a caso i movimenti italiani hanno stilato un vademecum, appoggiato dal Consiglio d'Europa, sul linguaggio corretto che dovrebbero usare i mass media quando si occupano di persone Lgbt».

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