Poillucci lascia la Film commission Fvg: «Scommessa vinta, abbiamo fatto della regione una terra da film e fiction»
Dal primo gennaio il presidente della Film commission Fvg lascia il suo incarico: quando la fondò con Gianluca Novel e Guido Cassano aveva 27 anni. Erano i più giovani in Europa
TRIESTE Quando Federico Poillucci, insieme a Gianluca Novel e Guido Cassano, ha fondato la Fvg Film Commission aveva 27 anni. Era il 1999, le film commission italiane si contavano sulle dita di una mano e il Friuli Venezia Giulia sembrava il luogo più improbabile dove attrarre la macchina del cinema saldamente ancorata a Roma. Ventidue anni e settecento produzioni dopo, a Trieste è sbarcata persino Hollywood: un’avventura strepitosa che Poillucci porterà sempre nel cuore anche se, dal 1° gennaio 2022, ha deciso di salutare il suo ruolo di presidente.
«È semplicemente una scelta di vita: dopo 22 anni di impegno e di soddisfazioni, viene la voglia di fare qualcosa di nuovo», spiega Poillucci. Restano ricordi meravigliosi: «Il mio film del cuore è “Tutto il mio folle amore”: come dice Salvatores, esagerando, è un film mio quasi quanto suo. Sono anche molto legato a “Diabolik”, “La ragazza del lago” e “Zoran”, e per le serie “La porta rossa” non ha rivali».
Poillucci, com’è cominciata l’avventura della Film Commission?
«Il direttore della film commission di Genova Andrea Rocco, un amico di famiglia, mi parlò di questo nuovo fenomeno importato dagli Usa. Nell’estate del 1999 Gianluca Novel, Guido Cassano ed io, insieme a Giulio Kirchmayr, buttammo giù un progetto, e in pochi mesi diventammo i più giovani film commissioner d’Europa. Nonostante per ruolo istituzionale la faccia della film commission sia stata quasi sempre la mia, è stato assolutamente un lavoro condotto in tre».
Quale fu la vera svolta?
«Il primo set veramente conquistato, perché poteva essere girato ovunque, fu “La forza del passato” di Piergiorgio Gay, nel 2002. Ma la svolta è del 2003, quando istituimmo il primo Film Fund italiano, una rivoluzione non solo dal punto di vista economico: ha fatto sì che la produzione del cinema italiano si spostasse da Roma e raccontasse territori e storie che altrimenti non si sarebbero mai visti. E l’avvicinarsi ai “confini dell’impero” ha dato fertilità ai rapporti transfrontalieri, alzando il livello artistico e produttivo del cinema italiano attraverso le coproduzioni».
Quali sono i registi con i quali si è creato un rapporto più stretto?
«Gabriele Salvatores, Matteo Oleotto, Ivan Cotroneo, i Manetti Bros. Con tutti l’amicizia si è sovrapposta all’affinità lavorativa. Gabriele in particolare è un amico, un fratello maggiore. Nessuno mi ha mai fatto sentire parte attiva di un film quanto lui già a partire da “Come Dio comanda”, nel 2008, e poi negli altri quattro film fatti assieme. È scattata un’affinità elettiva non solo sul lavoro, abbiamo un modo di ragionare e di sentire simile».
Tutti registi che sono tornati più di una volta…
«Ho sempre pensato fosse importante far scoprire Trieste e la nostra regione anche fuori dal set. Con i Manetti Bros durante i sopralluoghi si decidono prima i ristoranti dove andare a pranzo e, di conseguenza, il calendario delle location».
Gli attori diventati amici?
«Lino Guanciale, una persona meravigliosa, fuori dal comune. E poi Diego Abatantuono: ci rivediamo spesso a casa sua per vedere il nostro amato Milan. Quando vado lì faccio sempre tappa dai suoi amici Bruno e Matteo della “Tavernetta al molo” a prendere “una cofana”, come la chiama Diego, di baccalà da recapitargli. E poi Valentina Romani: l’ho conosciuta che aveva 18 anni sul set di “Un bacio” e due mesi fa me la sono ritrovata seduta a fianco al funerale di mia sorella».
La soddisfazione più grande?
«Veder nascere i talenti sul territorio. Già pensare che il Friuli Venezia Giulia diventasse una capitale del cinema europeo era difficile, ma vedere i talenti della regione premiati nei grandi festival, come Matteo Oleotto, era ancora più utopistico. È merito anche del Fondo Regionale per l’Audiovisivo».
In ventidue anni avete mai ricevuto una richiesta impossibile?
«Giuseppe Tornatore è un regista molto esigente, ma non chiede mai solo per capriccio. Organizzare il set hollywoodiano di “Come ti ammazzo il bodyguard 2” è stato davvero difficile per le scene di stunt-man, il coinvolgimento del castello di Miramare. Abbiamo chiuso Piazza Unità a Pasquetta».
Le film commission dipendono dalla politica: come sono andati i rapporti con le istituzioni?
«Abbiamo sempre fatto parlare i risultati, i dati economici, il ritorno d’immagine, il lavoro delle persone, i premi, il box office. Se si esclude l’episodio surreale di “Bella addormentata” di Marco Bellocchio del 2012, quando volevano cancellare la film commission per il solo fatto di aver legittimamente e secondo norma finanziato un film che parlava di Eluana Englaro, siamo sempre stati appoggiati con alti e bassi in maniera trasversale. La nostra eccellenza però viene percepita meglio nel resto d’Italia e in Europa piuttosto che dentro le mura di casa. Credo che la nuova collocazione della film commission in Promoturismo Fvg possa aiutare anche da questo punto di vista».
Il ricordo più bello?
«Solo uno è difficile, ma ci provo. È una scena che ricorre negli anni. Fine sopralluoghi, io alla guida del furgone, Gabriele Salvatores passeggero. Dietro tutti dormono. Lui prende l'iPhone e mette ad alto volume “Loosing My Religion” dei Rem, tra le proteste di Rita (compagna e scenografa di Salvatores, ndr). Lui neanche si gira, mi guarda, io alzo ancora un po' il volume e cantiamo».
E adesso cosa farà, continuerà a occuparsi di cinema?
«Resterò nei paraggi. Non so fare altro».
Riproduzione riservata © Il Piccolo