Piazza del Ponterosso, la sfida di un lifting che rimetta al centro la memoria dell’acqua

Quattro progetti di riqualificazione di un’area piana, dove la pavimentazione è importante. Conterà il parere dei cittadini?

TRIESTE C’è una famosa serie di dipinti di Giorgio De Chirico intitolata “Piazze d’Italia” (1913-1950), in cui il grande pittore surrealista interpreta, in chiave metafisica, luoghi più o meno immaginari che interagiscono con la gente o addirittura sembrano soffocarla, generando angoscia negli individui. Ecco, questo aspetto progettuale, sia come raffigurazione pittorica che architettonica, sembra un buon punto di partenza per affrontare il problema di questi spazi, più o meno vasti, che nelle città interrompono la struttura viaria per instaurare aree di sosta, di apertura anche mentale, di ripensamento esistenziale.

A Trieste, città monumentale e vissuta, abbiamo sempre avuto a che fare con le piazze storiche, un patrimonio difficile da trattare perché implica, sovrintendenza a parte, una particolare sensibilità che sappia raccordare il presente col passato. Perché ogni intervento in una piazza storica, se collocato nel tempo in cui avviene e in ottemperanza ai modelli estetici del momento, è degno di un’assoluta cautela.

Rifare, restaurare, ri-progettare una piazza storica è frutto di un bel connubio: l’aspetto storico pre-esistente, le eventuali trasformazioni nel tempo, le possibili variazioni fra le capacità di fruizione di quel monumento da parte della gente, tenuto conto della loro sensibilità mutata. Infine, le sollecitazioni delle istituzioni, magari portate a indirizzare il progettista verso soluzioni urbanisticamente più consone ai tempi (esempio: variazioni del traffico).

Vediamo cosa è successo negli ultimi trent’anni a Trieste. Si è cominciato con la piazza delle Poste (ora Vittorio Veneto), una delle più belle piazze triestine, dominata da una fontana di grande plasticità, quella dei Tritoni progettata da Franz Schrantz nel 1898. Lì l’amministrazione preferì operare un sostanziale cambiamento, attribuendo l’onere all’architetto Boris Podrecca nel 1999. Il quale ritenne di non rispettare l’organizzazione precedente sotto forma di giardino e introdusse varianti totalmente innaturali, anche dal punto di vista funzionale (nessuna persona avrebbe mai potuto sedersi sopra scatoloni privi di ombra).

Passando a piazza Goldoni il discorso si complica. La vecchia piazza della Legna (a poco dal Ponte della Fabra) era un mercato all’aperto, un luogo di incontri e di commercio, e il progettista ha ritenuto di infrangere la sua unità storica, facendone un’area di scorrimento automobilistico la cui parte “conviviale” è risultata solo schiacciata dal cemento (del monumento taccio, per carità di giudizio).

Insomma, per restare a questi recenti esempi, diciamo che non abbiamo avuto fortuna a Trieste. Ed ora, ecco che ci troviamo di fronte a un terzo tentativo di intervento su un’altra tra le sue piazze più belle: l’ultimo tratto di Ponte Rosso. Sorvoliamo sulla vera mutilazione che questa città si è autoimposta negli anni Trenta, quando costruttori disonesti hanno pensato bene di coprire l’ultimo tratto del canale con il materiale asportato dal piccone risanatore in via Donota e dintorni. Un bel risparmio sui costi di trasporto… Ma veniamo a oggi.

Lì c’era il canale, certo; quel tratto su cui si riverberava la struttura neoclassica di Sant’Antonio, una vera icona di bellezza. E ora c’è un’area malandata, con al centro una piscina anni 50 di modesta fattura. Che fare? Quattro sono i progetti che il Comune ha presentato alla città, con la firma dell’arch. Maurizio Bradaschia, e a giorni sapremo quanto si terrà conto del parere già espresso dai cittadini sul web. A guardarli, questi progetti, sembrano molto simili (lasciamo perdere l’aggiunta di una scultura di Pomodoro che sta lì come attrazione inesistente) e hanno come elemento comune la ristrutturazione di un’area piana, con o senza alberelli striminziti.

Si punta molto, inoltre, sul tipo di pavimentazione, sulla sua funzione estetica e immaginifica (per esempio al ritorno dei masegni, con un’illuminazione a terra che richiama Unità d’Italia). Ma, a mio avviso, quel che manca lì è innanzi tutto l’acqua, il riflesso di quella che ci fu un tempo. Solo il quarto progetto prevede una fontana quadrata. Ecco, forse riusciamo a evitare gli errori disastrosi del passato, tentando una mediazione storica con la piazza. E questo può solo avvenire attraverso l’evocazione dell’acqua. Che sia più di una piscina, che sia un corridoio d’acqua, una via immaginaria di collegamento con il canale e la chiesa. In cui i triestini riconoscano la vera parte finale del loro canale. —


 

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