Pet Sematary è il cimitero vivente che strizza l’occhio a Stephen King



Presentato in anteprima al South by Southwest di Austin, in Texas, “Pet Sematary” ha conquistato buona parte del pubblico e della critica presente. Siamo ancora una volta nei pressi di Stephen King, di un romanzo già adattato (dall’horror cult anni Ottanta “Cimitero vivente” di Mary Lambert) e di un ri-adattamento che prende le distanze dal romanzo originale. “Pet Sematary”, firmato da Kevin Kölsch e Dennis Widmyer (già registi di “Starry Eyes” e “Holidays”) riporta sul grande schermo il dottor Louis Creed (Jason Clarke). Il medico si trasferisce da Boston nel Maine, insieme alla moglie (Amy Seimetz), ai due figli, i piccoli Ellie e Gage, e il gatto Winston Church, detto Church. Nei pressi della loro nuova casa, situata in una località di campagna, c’è un cimitero per animali domestici che confina con un misterioso terreno sacro agli indiani. È la tragica morte di uno dei suoi figli ad avvicinarlo al vicino di casa Jude Crandall (John Lithgow), rapporto che porterà a conseguenze devastanti...

Horror tra i più attesi di questo 2019, “Pet Sematary” ruota ancora una volta intorno alla riflessione sulla morte e sull’elaborazione del lutto, rendendo per certi versi più giustizia al romanzo del 1983 di King quanto a tematiche e personaggi. Qui torna l’orrore della morte, l’impossibilità di accettarla, tanto da preferirle un cadavere che si rianima. Le differenze sostanziali comunque non mancano, il film pare più religioso del libro, ne riduce e taglia la trama, sceglie di far morire e far tornare dal mondo dei morti la primogenita Ellie piuttosto che il figlio minore Gage. Stavolta, il gatto Church è un grosso Maine Coon (razza che d’altra parte è originaria del Maine), e non è più solo la prova che il territorio oltre il cimitero degli animali riporta indietro i morti, se questi vi vengono seppelliti. Il suo ruolo innesca una reazione a catena che porta la famiglia Creed in una via senza ritorno.

La pellicola ripropone inquadrature omaggio per celebrare il cult del 1989 e cita a mani basse all’interno della narrativa di King e dei film da essa tratti, dallo sguardo satanico di “Carrie” a “Shining”, offrendo uno spasso aggiuntivo per i più appassionati.

Nonostante alcune lungaggini nella parte iniziale, nonostante una velocità che a tratti mina l’evoluzione dei personaggi, “Pet Sematary” costruisce un senso di paura avvolgente dall’inizio alla fine, e in ultimo chiude col botto. Sono proprio i cambiamenti al plot la chiave vincente di questo ri-adattamento, lodato dallo stesso King per quella sua capacità di prendere una storia arcinota e di minare ad ogni svolta le certezze dello spettatore. Il risultato è un senso del pericolo onnipresente, capace di rendere il film più cupo e terrificante del libro stesso. Dark, inquietante, sanguinoso e sorprendentemente divertente, alla maniera dei più pop tra gli horror contemporanei. Ci sono molti più elementi da dark comedy rispetto al passato e il terzo atto è molto più inquietante.

Effetti sonori e recitazione fanno il resto, con un cast azzeccato e alcune performance lodevoli (come quelle di Amy Seimetz e della giovanissima Jeté Laurence, una rivelazione). A volte, diverso dall’originale è meglio, soprattutto quando si tratta degli adattamenti cinematografici tratti da Stephen King. Come in passato, anche oggi.





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