Per Its cento giovani stilisti mischiano i generi della moda

TRIESTE. E se provassimo a pensare alla moda con un approccio diverso? Non come un vezzo o come espressione passeggera dei gusti del momento, ma piuttosto come ricettore dei cambiamenti della società e dei suoi costumi, al pari del cinema, della televisione e di altri media. Come strumento attraverso il quale esprimere l'identità, individuale o collettiva, facendosi interprete di molteplici segnali che attendono solo di essere ascoltati. In fondo, da che mondo è mondo, l'essere umano ha sempre utilizzato abiti, accessori e gioielli per definirsi: sono un uomo, sono una donna, sono una regina, sono un aborigeno, sono un cacciatore, sono un avventuriero, sono un punk, sono asiatico, sono europeo. Sono. E oggi, leggendo tra le righe, potremmo anche scoprire che i confini dell'essere non sono più netti come un tempo.
Sembra soprattutto questo il messaggio in codice che affiora dai cento portfolio esaminati proprio in questi giorni a Trieste, nella sede del quartier generale di Its - International Talent Support, dove si dà ascolto alle voci di giovani fashion designer di tutto il mondo. Cento progetti selezionati tra i più di mille iscritti di ogni nazionalità, provenienti da più di 180 scuole di moda con sede in 54 Paesi, che Barbara Franchin, fondatrice e direttore artistico del contest, ha sottoposto al giudizio di Sara Maino (Senior Editor di Vogue Italia e Vogue Talents), Angelo Flaccavento (giornalista indipendente), Kei Kagami (Fashion Designer), Deanna Ferretti (Presidente Maglificio Miss Deanna), Valentina Maggi (Director of the Design Practice at Floriane de St. Pierre) e Simone Marchetti (Fashion Editor - D Repubblica).
Una delle tendenze più lampanti, evidente in molti dei progetti di questi giovani e giovanissimi, riguarda il concetto di "genere". Radicalmente messo in discussione, lontano da qualsiasi stereotipo, potremmo azzardarci a dire superato. Oltre persino all'idea di "agender", termine utilizzato per definire chi non esprime il proprio sesso. Perché qui un'identità sessuale c'è, ma è unica, obliqua, trasversale, indistinta. «Pluri-gender, full-gender o magari gender-free», suggerisce Franchin. Uomini e donne che indossano gioiosamente gli stessi abiti e, quel che conta, stanno bene insieme, liberi di esprimere se stessi oltre il genere di appartenenza. Anche se sono soprattutto i maschi a voler cambiare pelle mostrando una nuova identità, affiancandosi all'andro-chic già ampiamente codificato nell'abbigliamento urbano femminile, attraverso l'uso di tacchi e gonne e perfino di tute mimetiche che virano al "pinky".
Una sorta di nebbia lattiginosa avvolge alcune delle collezioni. Una foschia leggera che sembra lì apposta per sfumare i confini. Per gli abiti si passa dal total-black agli inserti di colore che si inseriscono nel nero fino a esplodere in un vero e proprio arcobaleno sia cromatico che di genere. Parola d'ordine: ibridazione, fusione, collisione. In abiti dalle forme ampie, eccessive, over-size, in cui le forme del corpo spariscono annullando le differenze. Il seno c'è ma non si vede e lo stesso vale per i muscoli, non più esibiti o marcati in segno di virilità. Non sono solo i confini tra uomo e donna ad annullarsi, ma anche quelli geografici. Asia, Nord Europa, Medio Oriente o Mediterraneo: non importa, ovunque è possibile cogliere le medesime intenzioni. E zero confini anche tra gioielli, abiti e accessori: zaini e borse da indossare, decorative come bracciali, e gioielli come armature che vestono e forse proteggono un'identità divenuta più fragile.
Di questi cento progetti ne resteranno solo dieci per ogni area (moda, gioielli, accessori, artwork). Si sfideranno in passerella il prossimo 16 luglio al Salone degli Incanti.
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