Pennellate anti-militariste al Magazzino delle idee dipingono il secolo breve
di GILLO DORFLES
La mostra “L'Europa in guerra. Tracce del secolo breve” - curata da Piero Del Giudice, allestita al Magazzino delle idee di Trieste, organizzata dalla Regione, Provincia e cooperativa La Collina - suscita in me ricordi e considerazioni.
Avevo 4 anni nel 1914 e, bambino, ho risentito l'eco di quello che succedeva. In quell'anno ero a Trieste ma i miei hanno pensato fosse più opportuno trasferirmi a Genova dalla nonna materna, per fuggire al contrasto Austria-Italia. Ho un ricordo vivace di quella partenza, la città era imbandierata con il giallo e il nero - due colori che mi hanno sempre affascinato - delle insegne imperiali. Questa città imbandierata di giallo e nero mi è rimasta impressa per tutta la vita.
Non avevo nessun parente alle armi, mio padre era in Austria al confino. Noto come italianofono, lo hanno fatto stare nei dintorni di Vienna, confinato. Era una specie di protezione contro quelli che si sapeva essere non filo-austriaci. Io e mio fratello siamo nati a Trieste, ma la mia famiglia è di Gorizia. Gorizia vuol dire Friuli, la famiglia ci teneva molto ad essere friulana e non giuliana. Mia madre genovese e mio padre goriziano si incontrano quando mio padre va a Genova come studente di ingegneria navale. La famiglia paterna era filoitaliana. Il nonno goriziano era un acceso filoitaliano, fondatore di un circolo culturale a Gorizia e presidente del Teatro dell'Opera di Gorizia, un grande intellettuale.
Durante la Grande guerra avevo dai 4 agli 8 anni, ogni tanto arrivava un cugino o uno zio che era al fronte. A parte il fatto di vedere questa gente con la divisa di ufficiale non c'erano altre personali implicazioni.
Vengo alla mostra curata da Piero Del Giudice. Senz'altro una mostra importante con un ottimo e decisivo catalogo.
L'idea che percorre la mostra è quella che l'arte italiana non è riuscita a entrare in questa enorme tragedia, altri artisti importanti in Europa hanno saputo essere ispirati alla tragedia della guerra (da Goya a Dix), gli italiani no, questo anche in letteratura, a parte il caso Emilio Lussu con “Un anno sull'altipiano” (libro scritto ben oltre la fine della guerra).
L'interventismo degli intellettuali italiani dipende molto dal fatto che questa guerra voleva dire liberazione delle province italianofile che erano sotto l'Austria. Tra gli intellettuali non c'erano antinterventisti - a parte rarissimi casi - così anche nelle arti figurative. Questo è comprensibile anche se oggi Trieste vede la negatività dell'italianizzazione. I grandi entusiasmi di essere liberata dall'Austria hanno deluso le aspettative. Trieste è stata liberata dall'Italia, ma non ha avuto quelle soddisfazioni che si aspettava. Tutto il grande vantaggio che Trieste aveva di essere il porto dell'Impero è andato perduto.
Nella mostra L'Europa in guerra. Tracce del secolo breve, la scelta fatta del curatore è chiara: nessuna rappresentazione dell'interventismo. Dunque nessun futurista, a parte un'opera di Balla di particolare bellezza e ci sono anche futuristi come Depero e Rognoni, ma ormai nella fase della delusione e del ripensamento.
Tuttavia il futurismo è stata una corrente molto importante, il contrasto tra futurismo e vecchia pittura post-impressionista è stato grande. C'erano allora i pittori ritrattisti, il ritratto dominava ancora. Con l'avvento della fotografia e tutte le specializzazioni il ritratto scompare, ma allora le buone famiglie si facevano ritrarre. Io ho tutti gli antenati dipinti dai pittori dell'epoca, una famiglia di buona società aveva tutti i membri che venivano ritratti, era importante che si facessero fare i ritratti dal pittore di moda per avere un ricordo in famiglia.
Detto questo i pittori rappresentati in questa mostra sono di notevole importanza. Molto presente è Mario Sironi. Ho conosciuto molto bene la madre di Mario Sironi. Il padre era sardo e la madre romana. Donna straordinaria, molto intelligente, la vedevo a Roma perché studiavo lì. Mi ha dato molte spiegazioni su quello che era l'arte dell'inizio del secolo, non solo parlandomi di Sironi, ma degli artisti dell'epoca, come Sartorio, anch’egli molto rappresentato nella mostra triestina.
Ho saputo molti retroscena culturali della Roma dei primi decenni del 900. Nel vecchio appartamento di piazzale Fiume a Roma, dove viveva la vecchia Sironi, c'erano dei mobili disegnati e regalati da Marinetti, lei era amica dei primi futuristi. Sironi inventore di una pittura allora di avanguardia, dopo l'impressionismo e la pittura salottiera dell'Ottocento è stato un vero innovatore. Pittore particolarmente interessante nelle opere giovanili, qui - nelle opere della Grande guerra presenti in mostra - ci sono già tutte le sue implicazioni artistiche, anche politiche.
Questa triestina è in sostanza una mostra antimilitarista. Oggi, la figura del soldato non è più idealizzata come nella Grande guerra, oggi non si guarda più al soldato e all'ufficiale come a qualcosa di ammirevole, ma anzi a qualcosa di deprecabile. Si parla molto della fine di un mondo con la fine della Grande guerra. Si parla di finis Europae, ma no, anzi, con la fine di queste guerre in un certo senso patriottiche e assurde, appare quella che dovrebbe essere la vera Europa, l'insieme degli stati europei tradizionali, che possono costituire una realtà come gli Stati Uniti del Nord o del Sud.
Gli Stati Uniti del Sud hanno una unità in un certo senso invidiabile. La guerra è l'estrema ratio di un istinto presente in tutta l'umanità. L'aggressività è il culmine di questo istinto che quando si generalizza diventa un conflitto tra nazioni o imperi. È un istinto primordiale fondamentale dell'uomo, quello di avere un nemico, quindi combattere contro qualcuno. Bene fa questa mostra “L'Europa in guerra. Tracce del secolo breve” a metter in scena le grandi tragedie, gli innumerevoli morti e i flagelli che una guerra e uno scatenamento collettivo di questo istinto generano.
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