Pecoranera, il “Buon selvaggio” e la via per tornare alla Natura

Giovedì esce per Marsilio il nuovo libro di Devis Bonanni, che vive in Carnia
Di Alessandro Mezzena Lona
Digitally generated image of planet earth with plants --- Image by © Ray Tracing/Corbis
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di Alessandro Mezzena Lona

Aria che puzza, acqua imbevibile, cibo pieno di schifezze. E tutto attorno, cumuli di immondizia, rifiuti tossici interrati dove capita, nuvole di smog che ci seguono come cagnolini ben addestrati. Inutile negarlo, abbiamo trasformato il nostro verde pianeta in una pattumiera. Senza renderci conto che, come suggeriva lo scrittore francese Jean Giono, «gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre la distruzione».

Il problema è che ci siamo allontanati troppo dalla Natura. Sostituendo ai frutti della terra cibi sempre più sofisticati e inquinati. Preferendo all’acqua che sgorga dalle sorgenti bevande intrise di zuccheri, coloranti, intrugli chimici che esaltano il sapore. Smettendo di osservare le altre creature che vivono sulla Terra, che nemmeno per penitenza consumerebbero tonnellate di latte, di carne, di condimenti, come facciamo noi. Del resto, ci aveva avvisato Toro Seduto-Tatanka Lyotake. Sì, proprio il leggendario capo Sioux, che nel 1876 diede una sonora lezione nella battaglia di Little Big Horn al generale Custer: «Quando avranno inquinato l’ultimo fiume, l’ultimo albero, preso l’ultimo bisonte, pescato l’ultimo pesce, solo allora si accorgeranno di non poter mangiare il denaro accumulato nelle loro banche».

Per cambiare direzione, forse, c’è ancora un po’ di tempo. Basta crederci, come fa Devis Bonanni, meglio conosciuto come Pecoranera. Dal nome che ha dato al suo ecovillaggio e al primo libro, pubblicato tre anni fa da Marsilio Editori, in cui raccontava la sua storia. Quella, cioè, di un ragazzo che per anni ha lavorato come tecnico informatico e poi, un giorno, ha deciso di ritirarsi in un angolino della Carnia per dedicarsi all’agricoltura. Per riscoprire non solo pomodori, patate, zucchine, ma anche i nomi e la personalità degli alberi, i fiori e il fatto che sopra la testa di ognuno di noi c’è un cielo a volte azzurro e illuminato dal sole. A volte pieno di nuvole utili per portare la pioggia.

E adesso, Devis Bonanni ritorna a pubblicare un libro. Si intitola “Il buon selvaggio”, esce giovedì 15 per Marsilio. E come sottotitolo recita: “Vivere secondo natura migliora la vita”. Che è già molto eloquente. Ma attenzione, perché anche questa volta Pecoranera non ha nessuna intenzione di regalare vuoti slogan. Facili ritornelli per sentirsi in pace con la propria coscienza, come capita a certi profeti della green economy o di una decrescita che, in realtà, non ha nessuna intenzione di scardinare le folli abitudini radicate nel nostro tempo.

No, Devis Bonanni smantella una a una le facili mode che, da un po’ di tempo, promettono miracoli a intermittenza e poi spariscono. Preferisce piuttosto chiedersi com’è possibile che «per i popoli primitivi ogni manifestazione della vita era compartecipe di un disegno più alto e complessivo», e poi, a partire dal quarto millennio avanti Cristo, abbiamo finito per «divorziare dal nostro Pianeta». Lasciando che, nel nome di un progresso tutto da verificare, venisse fatto scempio dell’ambiente in cui viviamo solo per assecondare evidentissimi interessi economici.

Bonanni, peraltro, chiarisce subito che «non si tratta di creare una nuova religione della Natura, un animismo posticcio e raffazzonato», ma di «risolvere un equivoco storico chiarendo che l’umanità è un prodotto della Natura e delle sue regole evolutive e come tale ha un significato per la vita del Pianeta». Basterebbe, forse, pensare che del mondo ci nutriamo ogni giorno e che, alla fine del nostro percorso, il mondo si nutrirà di noi. E allora, «se un economista si prendesse la briga di far di conto, scopriremmo che piantar alberi, a vario scopo, è un investimento tra i più redditizi sul mercato».

Per convincere il lettore, Bonanni non si tira fuori dal mucchio. Racconta i suoi problemi personali con l’alimentazione, che lo hanno portato a superare i cento chili di peso e a ingurgitare tutto quello che di malsano gli capitava a tiro. Ricordando che, se siamo pieni di malattie cardiovascolari è perché ci siamo consegnati prigionieri volontari al destino di essere dei «dannati dell’alimentazione».

Tornare indietro si può. Prima, però, dobbiamo capire che il Giardino dell’Eden è qui, attorno a noi. Basta allontanarsi di qualche chilometro dalla città, riprendere a camminare, sfiorare gli alberi, accarezzare l’erba dei prati. Liberarsi, insomma, dei panni di chi sa lasciare attorno a sé solo terra bruciata. Per costruire un futuro, non distruggerlo.

alemezlo

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