Paolo Poli, l’istrione dei “mieli e veleni” folgorato da Jole Silvani

L’ archivio personale dell’attore è stato donato all’Istituto per il Teatro e il Melodramma della Fondazione Cini di Venezia: copioni, locandine, foto, recensioni dagli anni ’50 ai Duemila 

la testimonianza



«Io sono nata in tempo di guerra e il primo ricordo di Paolo, indelebile nella mia memoria, è quando lui adolescente (aveva circa 11 anni più di me) correva nelle campagne fiorentine, dove eravamo sfollati, con me piccola in braccio, mentre gli aerei ci mitragliavano dall’alto…lui correva e io mi stringevo a lui». A raccontare è Lucia, sorella dell’indimenticabile istrionico attore fiorentino Paolo Poli, scomparso a Roma nel 2016. Cantante, regista, autore, attore, Paolo Poli è stato una personalità unica ed irripetibile del teatro italiano.

Il suo straordinario archivio personale, che documenta tutta la sua lunghissima carriera, è stato in questi giorni donato all’Istituto per il Teatro e il Melodramma della Fondazione Giorgio Cini di Venezia dal nipote Andrea Farri.

Dotato di una cifra stilistica assolutamente personale, Poli ha incarnato un teatro “di mieli e veleni”, come l’aveva definito il critico Rodolfo Di Giammarco. Ironico, dissacrante, sempre raffinato, graffiante e al contempo ammaliante nella sua sconfinata conoscenza della letteratura italiana, è riuscito in un miracoloso equilibrio stilistico a portare sulle scene l’alto e il basso della nostra cultura. Prendendo le mosse dall’operetta, dalla rivista, dal vaudeville, dall’avanspettacolo e dal varietà Poli è riuscito a diventare nella sua lunga carriera, tra teatro e televisione, una vera e propria icona.

Lo studio del suo archivio dal punto di vista documentale sarà un’occasione importante – come ha sottolineato Maria Ida Biggi direttrice dell’Istituto veneziano - per la storia del teatro del nostro paese. I materiali, in parte ordinati dallo stesso Poli, documentano infatti la sua carriera dai primi spettacoli realizzati con la Compagnia dell’Alberello negli anni ‘50 fino alle celebri produzioni dei primi anni Duemila. Nei faldoni trovano posto copioni autografi e annotati, fotografie, corrispondenza, locandine e programmi di sala, recensioni e appunti preparatori per la messa in scena degli spettacoli. Ricchissima anche la collezione fotografica, che permette di ricostruire tutti i principali titoli del ricco repertorio dell’artista insieme a molti momenti “dietro le quinte”. Di grande valore documentale anche molti filmati originali e una corposa rassegna stampa che testimonia la straordinaria popolarità dell’artista e soprattutto l’impatto sociale e culturale della sua opera.

«Paolo è irripetibile – ha sottolineato Lucia Poli alla presentazione del lascito - perché il suo modo di fare teatro si identificava con la sua persona, con il suo corpo: lui si dava al pubblico totalmente con la sua intelligenza, con la scelta attenta e studiatissima dei testi, con la sua fisicità ambigua, femmina e maschio al tempo stesso, con il suo essere flessuoso, gradevole, angelico e al contempo perfido».

Uno stile unico quello di Poli, che la cadenza fiorentina e la padronanza assoluta della nostra lingua trasformavano in una sorta di onda semantica capace di esaltare agli occhi del pubblico repertori letterari mai portati prima sulle scene.

«Lui amava il pubblico – ha spiegato Lucia Poli - il contatto con la gente, per questo amava particolarmente Venezia, dove veniva sempre a recitare al Teatro del Ridotto e poi al Goldoni. Nelle sue calli, nei suoi campi ritrovava come in nessun’altra città il contatto umano con le persone. Quando lo fermavano dopo uno spettacolo adorava intrattenersi e chiacchierare. Odiava invece tutti i mezzi di comunicazione tecnologici. Non aveva il computer, né il telefonino, diceva che non facevano per lui perché apparteneva a un’altra epoca».

«Andava sempre molto volentieri – ha continuato Lucia Poli - anche a Trieste per il Festival dell’operetta. A questa città lo legavano alcune amicizie importanti, come quella con l'attrice triestina Niobe Quaiatti, in arte Jole Silvani, compagna del celebre Angelo Cecchelin. Si erano conosciuti a Torino ai tempi del cabaret e Paolo era rimasto folgorato dalla sua verve, dalla sua simpatia, dalla sua bellezza, dalla capacità di questa attrice – rara all’epoca - di essere anche autrice. Così hanno cominciato a lavorare insieme e poi sono restati amici tutta la vita. Altra grande amica di Paolo è Graziella Porta, un’artista con cui fece a Trieste un indimenticabile duetto nell’operetta “Al Cavallino Bianco». Celebre anche la collaborazione e l’amicizia con lo scenografo, illustratore Lele Luzzati che firmò le scene di molti suoi spettacoli.

Nella ricca documentazione dell’archivio Poli spiccano anche i tanti copioni segnati dalla censura che il suo talento trasgressivo dovette sempre subire, come nel caso dello spettacolo “Rita da Cascia” che fu sospeso perché accusato di vilipendio alla religione e offesa della dignità civile del popolo italiano.

«Lui ha sempre vissuto la sua omosessualità molto bene, – ha raccontato Lucia Poli – perché abbiamo avuto una madre che ci ha sempre sostenuti e lasciati liberi di esprimerci. Lui, benché si vestisse spesso sulle scene da donna, non ha mai desiderato essere una donna. Era ambivalente, aveva già in sé il femminile, la capacità di essere al contempo uomo, donna, bambino, vecchio, giovane.

Io ero per lui la sua bambina, poi alla nascita di mio figlio il suo istinto di protezione si è spostato su di lui e io sono diventata la sua confidente, la sua amica». —





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