Paolo Giordano e tre ragazzi alla ricerca di una vita da divorare

Giovedì, al Caffè San Marco, il nuovo libro dello scrittore che ne parla con Nico Pitrelli, scienziato della Sissa

Quanto sappiamo delle loro storie segrete, a che punto può spingerci il nostro bisogno di credere? È solo una delle questioni al centro del nuovo romanzo di Paolo Giordano, “Divorare il cielo” (Einaudi, 430 pp., 22 euro). Giordano, Premio Strega e docente al Master in Comunicazione della Scienza di Sissa, ne parlerà giovedì, dalle 18, all’Antico Caffè San Marco, in dialogo con Nico Pitrelli, co-direttore della stesso Master, in quella che è la prima presentazione pubblica dopo il debutto al Salone del Libro di Torino.

Questo romanzo è al contempo semplicissimo e audace. Tre ragazzi e una ragazza, una masseria in Puglia, la difficoltà di crescere in un mondo contemporaneo che non permette di credere in nulla, la ricerca di un proprio modo di vivere che sia autentico. In questa giovinezza insofferente e acuta, possiamo sentire un’eco di quel “Due di due” di Andrea De Carlo, che fu il romanzo di una generazione. Ma “Divorare il cielo” non è solo questo. Quei tre – Nicola, Bern e Tommaso, l’albino – sono i “grandi egoisti”, cresciuti nella masseria di Cesare e Floriana, attivista lei e guida spirituale lui, dove i ragazzi senza genitori vengono accolti ed educati al credo in Dio. Teresa è la ragazzina perbene che da Torino arriva in Puglia solo per le vacanze estive. La tonalità del libro è tutta nella scena iniziale: il tuffo clandestino dei ragazzi nella piscina di Teresa una notte, lo sguardo scuro che Bern non toglierà da lei quando il mattino dopo verranno a scusarsi.

Che Paolo Giordano abbia la sicurezza e la maturità dei narratori capaci di costruire storie di ampio respiro è evidente dalla complessa struttura del romanzo: capitoli lunghi; un intreccio di voci e punti di vista che, capitolo dopo capitolo, ci costringono a rivedere tutto ciò che pensavamo di aver compreso sui personaggi; un montaggio di anticipazioni e flashback che ci permette di entrare nelle pieghe dell’animo e delle azioni dei protagonisti.

Un romanzo maturo anche nei temi. Il nostro bisogno divorante di credere, in una fede o un’idea o un amore, purché con assolutezza. In una storia dove i genitori sono assenti o manchevoli, dove il legame di sangue è sempre spezzato, l’unica possibilità di farsi una famiglia è di costruirla attorno a un credo: la fede religiosa, come capita alla masseria dei ragazzi, o l’idea anarchica, come capiterà a Bern, Tommaso, Teresa che vivranno un esperimento di vita alternativa, comunitaria e autosufficiente. Ma il nostro desiderio di credere basta a salvarci? No, non basta.

Bern, il vero eroe drammatico e indimenticabile di questo romanzo, è infatti il simbolo della solitudine profonda di chi ha creduto e poi ha smesso di farlo. Tutta la sua vita non è altro che un continuo tentativo di trovare qualcosa a cui votarsi con la purezza assoluta dell’infanzia: un giuramento tra ragazzi che segnerà la sua vita con il peso della colpa, la fede anarchica che lo porterà a uno scontro sempre più violento con la società, il matrimonio con Teresa e la volontà di avere un figlio ad ogni costo (anche se ciò comporterà il doloroso tentativo di fecondazione eterologa nell’ostile e terrorizzante Kiev). In un viaggio geografico e interiore che lo trascinerà in Islanda, nel fondo di una grotta lavica che assomiglia agli inferi o alla terra che nasce.

Ma questo è anche un romanzo sull’amicizia e sulla giovinezza. Su Tommaso e Teresa che si contendono il cuore di Bern – come se nel cuore di ognuno ci fosse spazio per una persona e basta, come se il cuore di Bern non fosse un alveare tortuoso pieno di anfratti per ciascuno di loro. Sui gesti che valgono più di mille azioni: salire su un albero come il Barone rampante e cercare da lì di cambiare qualcosa, fosse anche la logica dell’essere felici.

Giordano non ha paura di dirci una verità difficile: quando gli assolutismi della giovinezza passano, quando vivere senza elettricità perde il suo fascino ribelle, quando la rivoluzione diventa lotta armata, ecco che ritornano le famiglie ripudiate e gli appartamenti in centro. Capita così che chi non ha le spalle coperte, chi ha sognato davvero un altro mondo possibile, si ritrovi di colpo solo ed è troppo tardi per tornare indietro. Ma non troppo per ricordarsi un vecchio detto che Cesare aveva insegnato a tutti loro: «Sono fuggito dalla tua mano verso la tua mano». Sono le ultime parole che Bern ha per Teresa, quello che ci resta attaccato di questo libro coraggioso. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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