Paolo Budinich era un Corto Maltese che amava la fisica
di FABIO PAGAN
Quando smetteva gli abiti dello scienziato, Paolo Budinich indossava quelli di un personaggio che sembra uscito dalle tavole di Hugo Pratt: un Corto Maltese avventuriero e sognatore, con l'eterno mozzicone di sigaretta in bocca, che annusava il vento e scrutava il mare. Di preferenza il suo Quarnero, amatissimo e periglioso. Ma anche il favoloso Pacifico, solcato a ottant'anni su un catamarano costruito da un collega fisico norvegese. Un navigatore di lungo corso, Paolo Budinich da Lussingrande, nella vita come nella scienza.
Di lui, il 28 agosto, verranno celebrati i cent'anni dalla nascita in quell'isola di Lussino che - come lo stesso Budinich scriveva nell'autobiografia “L'arcipelago delle meraviglie”, appena ristampata - «quando io vi nacqui, nel 1916, era austriaca; nel 1918, quando venni portato a Trieste, era italiana; poi, quando vi ritornai alla fine della guerra, nel 1946, era jugoslava, e oggi infine è croata».
Il padre insegnava storia e filosofia e quando il giovane Paolo sfogliò l'Apologia di Socrate decise che avrebbe studiato filosofia. Ma con la sua maturità scientifica, allora, non era possibile. E allora optò per fisica, «che alla filosofia reputai più vicina». Laurea alla Normale di Pisa nel 1939, con una tesi in fisica sperimentale. E per tornare al mare accettò l'offerta dell'Accademia di Livorno di tenere lezioni di materie scientifiche agli allievi imbarcati sulla "Vespucci" durante la navigazione in Mediterraneo. Poi la guerra: volontario sommergibilista e osservatore aereo sugli idrovolanti di scorta ai convogli navali. Nel '43 si consegnò coi suoi compagni di volo agli inglesi nella speranza di poter entrare in contatto con gli antifascisti italiani a Londra. Ma, come prigioniero di guerra, venne inviato in Inghilterra e poi negli Stati Uniti.
Budinich torna a Trieste a guerra finita, nell'autunno del '45. Si lascia convincere a tenere un corso di meccanica razionale all'Università. Nel 1951 è a Gottinga, al mitico Max-Planck-Institut für Physik diretto da Werner Heisenberg, uno dei padri della meccanica quantistica, con cui collabora in ricerche sui raggi cosmici. Nel 1953 ottiene la cattedra di fisica teorica a Trieste e la direzione dell'appena costituito Istituto di fisica. L'anno successivo è a Zurigo, accanto a un altro protagonista della nuova fisica, il temutissimo Wolfgang Pauli.
L'anno fatale è il 1960. A giugno Budinich organizza al Castelletto di Miramare un simposio sulle interazioni delle particelle elementari. Tra i partecipanti vi è un giovane fisico pakistano, Abdus Salam, che lavora all'Imperial College di Londra. È da quell'incontro che nascerà la candidatura di Trieste a sede di un centro di fisica e di matematica aperto - in piena guerra fredda - agli scienziati d'Oltrecortina. Anni di battaglie diplomatiche per superare l'ostilità delle grandi potenze e scavalcare le candidature di Firenze e Copenaghen. Alla fine Trieste le spunta e nel 1964 l'Ictp, il Centro internazionale di fisica teorica, inizia la sua attività sotto la bandiera delle Nazioni Unite.
Salam (dir. ettore) e Budinich (vicedirettore) consolidano il Centro anno dopo anno, spostando il baricentro alla diffusione della scienza nel Sud del mondo. Il Nobel assegnato a Salam nel 1979 fa da impulso per altre iniziative che Budinich via via realizza: nel 1978 la Sissa, la Scuola internazionale superiore di studi avanzati, una università post-laurea sul modello della Normale di Pisa; e poi l'Immaginario Scientifico, un science centre rivolto soprattutto ai più giovani, sulla scia della mostra parigina del "Trouver Trieste". Ma c'è la mano di Budinich anche dietro l'Area di ricerca, il Centro di ingegneria genetica e biotecnologie, il sincrotrone Elettra, la Twas. Un periodo irripetibile della storia triestina, grazie anche alla sinergia tra scienziati e manager locali (Domenico Romeo, Luciano Fonda, Fulvio Anzellotti) e politici nazionali che vedevano lontano (Giulio Andreotti e Luigi Granelli su tutti).
Paolo Budinich se n'è andato il 14 novembre 2013, a 97 anni. Un visionario, utopista fino all'ingenuità quando sosteneva che la scienza e la cultura sono l'arma vincente contro fondamentalismi e terrorismo. La storia recente, purtroppo, non gli dà ragione. Ma nessuno come lui, negli ultimi cinquant'anni, ha lasciato un segno così profondo sul destino di questa città.
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