Padre Orobator, gesuita e animista «Non è una spiritualità primitiva»

La questione dei massicci flussi migratori che dall'Africa premono sull'Europa dovrebbe essere affrontata come una questione globale, sulla quale concentrare gli sforzi di tutta la comunità internazionale. Bisognerebbe iniziare a smettere di demonizzare i migranti, offrendo loro ospitalità e protezione. Poi stipulare degli accordi con i Paesi di origine, nei quali va creato un ambiente sicuro per lo sviluppo integrale della persona umana, e stanziare risorse per combattere il traffico di esseri umani». Ha le idee chiare, su questa problematica sempre di scottante attualità nel dibattito politico, padre Agbonkhianmeghe Orobator, nigeriano, responsabile della Compagnia di Gesù per l’Africa e il Madagascar. Convertitosi al cattolicesimo a 16 anni, ora ha scritto un libro, che però non parla tanto di migrazioni quanto dell'essenza della cultura e della spiritualità africana: “Confessioni di un animista. Fede e religione in Africa” (Emi, pagg. 248, euro 23), che verrà presentato dall'autore in anteprima nazionale a Trieste, domani, alle 20.30, al Centro culturale Veritas e, a seguire, sabato 21 settembre al festival Pordenonelegge.
Padre Orobator rovescia la prospettiva consueta: più che parlare di che cosa l'Europa, e più in generale l'Occidente, può dare all'Africa, affronta il tema di che cosa quest'ultima può offrire al resto del mondo: «Le tradizioni africane di spiritualità contengono una serie di valori e di caratteristiche che possono contribuire al rinnovamento globale. Se tale tradizione viene etichettata negativamente con la definizione di "animista", non mi vergogno di esserne un sostenitore». Sono parole impegnative, soprattutto se pronunciate da un gesuita e da uno dei teologi più brillanti del continente africano. Convinto "afrottimista", Orobator afferma che è necessario un radicale cambiamento di prospettiva riguardo all’animismo e alle tradizioni religiose africane, abbandonando le categorie di primitivismo e di arretratezza culturale che per secoli sono state loro affibbiate, persino dagli stessi missionari. Al contrario, secondo il gesuita, l’animismo «costituisce la base o sottoscrittura della coscienza religiosa degli africani» sulla quale di sono innestati islam e cristianesimo.
Richiamando la famosa frase di papa Paolo VI secondo cui «l’africano, quando diviene cristiano, non rinnega sé stesso, ma riprende gli antichi valori della tradizione "in spirito e verità"», Orobator non si sente «lacerato tra due religioni» e rifiuta categoricamente «di accettare l’etichetta di "schizofrenia della fede" o di "doppia mentalità religiosa"» che tanti, teologi e non, hanno usato per descrivere la religione africana. Figlio di due devoti animisti, cresciuto con «una stanza delle medicine» tra rituali e abluzioni, l’autore non smette mai di ricordarci che è proprio la sua esperienza personale di «convertito» al cattolicesimo e di «africano» ciò che gli permette di ritrovare nella vitalità e nella spiritualità del continente il contributo essenziale che il cristianesimo africano potrà dare alla Chiesa cattolica. Nel suo libro parla dei diversi modi in cui la religione africana può arricchire il cristianesimo: «L’enfasi sulla guarigione olistica, la cura e il rispetto per tutti gli elementi della natura, la guida delle donne nel culto e nei rituali sono tutti aspetti che possono insegnare molto».
Per lui, del resto, si tratta di una questione non tanto di "conciliazione" quanto di "dialogo": «La teologia cattolica promuove il dialogo con altre fedi sulla base della reciprocità e della credenza condivisa nell’esistenza di Dio, oltre che della promozione della dignità e dello sviluppo della persona umana. Questi sono principi che anche la religione africana sostiene. Ovviamente ci sono anche delle differenze che non possiamo trascurare. Tuttavia, il dialogo, la comprensione reciproca e la tolleranza sono il cammino da seguire».
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