Olga Tokarczuk l’immaginazione che va al di là dei confini come forma di vita

il personaggio
LAURA QUERCIOLI
Le hanno comunicato del Nobel mentre attraversava in macchina la Germania dove si trova per un giro di conferenze Olga Tokarczuk, e ha detto al quotidiano polacco Gazeta Wyborcza: «Quando l’ho saputo mi sono dovuta fermare. Ancora non riesco a crederci. Sono felice che insieme a me il Nobel lo abbia ricevuto Peter Handke, che stimo enormemente. È meraviglioso che l’Accademia di Svezia abbia dato risalto alla letteratura dell’Europa Centrale. Sono felice, che ancora riusciamo a resistere».
Nel 1966 in una situazione, è vero, solo vagamente paragonabile, il Nobel era stato assegnato ex aequo a due scrittori, una tedesca e un polacco, la tedesca Nelly Sachs e il romanziere Joseph Agnon. Agnon, poi israeliano, nato nel 1888, scriveva in yiddish, la lingua semi leggendaria degli ebrei dell’Europa dell’Est. La stessa lingua con la quel vinse il Nobel nel 1978 Isaac Bashevis Singer, altro polacco sui generis. E, se vogliamo, anche la lingua di Tokarczuk è un polacco sui generis tanto è raffinata, densa di riferimenti letterari e culturali, piena di citazioni e incantesimi. Forse è così la lingua di ogni grande scrittore?
In Italia, dal 2006 al 2018, sono stati pubblicati cinque suoi volumi (Che Guevara e altri racconti, ed. Forum; Guida il tuo carro sulle ossa dei morti, Nottetempo - da questo romanzo, una sorta di giallo ecologico, è stato tratto nel 2017 un bel film di Agnieszka Holland; Casa di giorno casa di notte, Fahrenheit 451; Nella quiete del tempo, Nottetempo; il libro per bambini L’anima smarrita, TopiPittori), ma nel nostro Paese una certa fama le arriva solo quest’anno con I vagabondi, sulla scia del Booker Prize inglese e grazie al maggior pubblico offerto da una casa editrice di grande rilevanza come Bompiani.
La sua è, così nella motivazione del Nobel, «un’immaginazione narrativa che con enciclopedica passione rappresenta l'attraversamento dei confini come forma di vita». Sono molti, infiniti i confini che Olga Tokarczuk supera nella sua scrittura. I confini del genere e dell’identità individuale e sessuale (in Che Guevara), quelli tra natura e umano, tra crimine e giustizia (in Guida il tuo carro), tra realtà tangibile e mito, tra Oriente e Occidente, tra polacchi e tedeschi (Casa di giorno, Nella quiete del tempo). Per arrivare ai confini anche fisici e geografici de I vagabondi, un testo che ha più volte definito «a costellazione» ovvero senza un centro, senza una gerarchia, e dove si narra di passaggi, di cambiamenti, di trasformazioni, di barriere superate.
Enormi confini vengono superati anche nel suo opus magnum, I libri di Jakob, del 2014 (in pubblicazione per Bompiani nel 2021), l’improbabile e terribile storia del falso Messia di Podolia Jakub Frank (1726-1791; in Podolia era nato anche Agnon e da qui si origina la famiglia della scrittrice) le cui vicende, benché generalmente rimosse dalla memoria collettiva di entrambi i popoli, hanno segnato in maniera profonda e forse indelebile l’autopercezione di polacchi ed ebrei polacchi e il peculiare aspetto dell’antisemitismo in questo Paese. In oltre 900 pagine l’autrice si attiene con «metodica follia», come ha scritto Przemysław Czapliński, alla documentazione storica. Il risultato è una riscrittura totalmente innovativa della storia polacca prima delle spartizioni della fine del ’700.Ne emerge un Paese dove (come oggi?) «la libertà religiosa e l’odio religioso si incontrano sullo stesso piano». Il senso di questa impresa era stato riassunto da Tokarczuk in un’intervista tv che le aveva provocato numerose minacce di morte nonché quella, da parte del partito attualmente al governo, di revocarle la cittadinanza onoraria della cittadina della Slesia dove abita. Quello che dobbiamo fare, ha detto Tokarczuk, e la sua indicazione può in sostanza valere per tutti i Paesi europei, è «non nascondere le cose terribili che abbiamo fatto come colonizzatori, come oppressori delle minoranze, assassini di ebrei. Dobbiamo essere in grado di dirci tutto. Solo in questo modo potremo rinascere». —
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