Norma Cossetto, un secolo di Storia macchiato della ferocia contro gli infoibati

Cento anni fa nasceva la giovane trucidata nel 1943 dai partigiani jugoslavi, eletta a simbolo della sopraffazione

Cento anni fa, il 17 maggio 1920, nasceva Norma Cossetto, la studentessa italiana, di Visinada, uccisa da partigiani jugoslavi nel 1943 nei pressi della foiba di Villa Surani.

Oggi, Norma avrebbe avuto cent’anni. Difficile immaginarla da vecchia signora, dopo aver visto il volto sorridente di una ragazza ventenne, così come ci appare dalle foto di cui siamo a conoscenza. Un’aria allegra e scanzonata, dolce e sbarazzina: un fermo immagine che s’imprime nella memoria di chi voglia avvicinarsi alla sua storia col passo lieve della pietas.

Nata a Visinada, in Istria, il 17 maggio del 1920, vive serenamente la sua adolescenza e la sua prima giovinezza in una famiglia accogliente, in un territorio in cui, per dirla con Nelida Milani “puoi respirare in profondità uno dei paesaggi multipli che ognuna delle persone che sono qui porta dentro di sé, e puoi respirarli tutti quanti insieme”.

Non sappiamo quanto Norma abbia sentito dentro di sé la mitezza di questa condizione, nelle sue passeggiate per le campagne istriane, nella sua inevitabile vicinanza con uomini e donne di diversa nazionalità e condizione sociale.

Il fascismo, insieme ad un malinteso amor di patria e di un’italianità a una sola e arrogante dimensione, si era incaricato di dividere, e di spezzare legami antichi e forse pure antiche rivalità, mai così profonde, tuttavia, come quelle coltivate durante il ventennio. Le cosiddette minoranze (croate e slovene) in Istria e in tutta la Venezia Giulia avevano subito una serie di gravi e violente ingiustizie.

Le vicende della grande storia entrano nella sua famiglia, attraverso la carriera del padre, podestà e segretario politico del fascio di Visinada; Norma vive con ogni probabilità gli anni del fascismo, alla pari di tanti giovani e giovanissimi, catturati da linguaggi nuovi, dal fascino delle manifestazioni, dalla sicurezza apparente delle potenti parole d’ordine. Norma, tuttavia, alle soglie dei vent’anni, respira pure un’altra aria, che è quella dell’Università di Padova, dove non possono mancare incontri o scambi d’opinione con studenti e “maestri” che hanno preferito dire di no alla dittatura nelle forme più diverse, sia attraverso critiche velate sia a viso aperto. La guerra inasprisce i contrasti e indurisce le persone. Norma non pare rendersene conto se, ancor prima di laurearsi, accetta di insegnare nell’ottobre del 1941, a Pisino, dove i contrasti nazionali erano stati molto forti fin dall’inizio del secolo. Attraverso lei si può osservare un tempo sospeso in quelle zone dell’Istria non ancora investite dalla furia delle tragedie che da lì a poco avrebbero travolto tutti indistintamente, in un precipizio senza fine di odio e di violenza.

Dopo l’8 settembre, il paesaggio umano viene sfigurato: inizia in Istria il lugubre periodo delle stragi. La categoria della vendetta e della ribellione delle popolazioni croate sottomesse e angariate è stata ridiscussa dalla più recente storiografia; tali sanguinosi eventi sono prevalentemente riletti nell’ambito delle decisioni del movimento di liberazione croato, sulla scia delle direttive dei centri del potere rivoluzionario jugoslavo, governati da Tito.

Il dramma delle foibe istriane si interseca con l’attacco delle truppe naziste a loro volta responsabili di sanguinosi episodi contro i civili, i partigiani e i soldati italiani sbandati. Norma viene prelevata dalla sua casa di Santa Domenica: al secondo arresto da parte dei partigiani croati, si consuma il suo dramma.

Quali parole si possono usare per descrivere l’indicibile sofferenza di un essere umano? Quali colpe giustificano tanta violenza? Con infinito dolore la tragedia greca ha mostrato a tutti la catena dello strazio che fa ricadere le colpe dei padri sui figli innocenti: insisto sul concetto di “infinito dolore” che quei lontani maestri ci hanno trasmesso, facendoci riflettere. Un messaggio che avrebbe dovuto risuonare attraverso i secoli. Non sempre fu ritenuto, tuttavia, degno di ascolto.

Norma è una donna. Una delle molte che nella ferocia di quei tempi sopportano il fardello più pesante delle guerre. Madri, mogli, sorelle, figlie sono coloro che, in lunga schiera, devono raccogliere il danno di tante vite perdute e poi tentare di ricominciare. Per loro, il cammino è senza fine.

Norma, in mano ad un gruppo di appartenenti al movimento di liberazione croato, è un corpo e un’anima stuprata dalla brutalità dei suoi carnefici. Quante donne dovremmo ricordare tutte insieme perché vittime di questo estremo atto d’odio? Ognuna ha la sua storia e nessun delitto giustifica l’altro. I carnefici, orrendi interpreti di tali pratiche, invece, non conoscono bandiere: in Carnia, i cosacchi; a Trieste, gli aguzzini dell’Ispettorato speciale di pubblica sicurezza; nel centro/sud Italia, molti reparti al seguito delle truppe alleate. Nessuna giustificazione li può assolvere dall’aver violato il corpo di una donna.

Norma, estratta dalla foiba, viene riconosciuta dalla sorella da alcuni indizi e, nello specifico, da un golfino di “lana tirolese” da lei particolarmente amato. Solo un anno più tardi, un indizio simile, aveva reso riconoscibile agli amici il corpo di Laura Petracco appesa dai nazisti allo scalone del Palazzo Rittmeyer di via Ghega: un golfino verde che Laura portava nelle sere d’estate.

Le delicate sfumature di una violata femminilità erompono sul teatro della morte.

Sono creature diverse, per l’età, per le scelte compiute, per le appartenenze ideali e ideologiche. L’offesa compiuta alla sacralità del loro corpo di donna è tuttavia identica. —


 

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