Non rifiutiamo i rifiuti Dalla moda alla tv la spazzatura è vita

Alessandro Zaccuri che in “Non tutto è da buttare” (La Scuola, 168 pagine, 14,50 euro) offre prove in abbondanza di come la spazzatura sia materia di cui pensiamo di non avere bisogno, un’eccedenza...
Di Roberto Bertinetti

Alessandro Zaccuri che in “Non tutto è da buttare” (La Scuola, 168 pagine, 14,50 euro) offre prove in abbondanza di come la spazzatura sia materia di cui pensiamo di non avere bisogno, un’eccedenza dalla quale tentiamo costantemente di liberarci ma di cui non riusciamo in alcun modo a sbarazzarci.

Lo studioso propone un’analisi interdisciplinare spostandosi con naturalezza dalla filosofia al cinema, dalla narrativa alle serie televisive. E arriva a toccare persino l’ambito della moda e della produzione artistica. Ricordando, ad esempio, che un’azienda di Zurigo trasforma i teloni dei Tir in borse e accessori di tendenza in vendita a prezzi assai elevati. O che il giovane statunitense Justin Gignac gode di una discreta fama grazie alla scelta di mettere in vendita in alcune gallerie e sul suo sito piccolissimi cubi di plastica trasparente nei quali sono racchiusi reperti certificati della spazzatura di New York.

Sul grande schermo, poi, l’immondizia è un elemento narrativo prezioso come ben ricorda chi ha visto “C’era una volta in America” o “Guerre stellari” dove figura una scena in cui gli eroi si salvano dalla Morte Nera che è sul punto di catturarli tuffandosi nel condotto dei rifiuti. La spazzatura costituisce inoltre una componente fondamentale dell’opera di Calvino (in “Le città invisibili” figura Leonia che simboleggia la società dei rifiuti) e di Pasolini che a partire da “Ragazzi di vita” ha utilizzato lo squallore urbano per mostrare il volto più visibile della rovina moderna. A volte sono gli stessi libri a essere smaltiti o distrutti come accade in “Una solitudine troppo rumorosa” del praghese Hrabal dove il protagonista si guadagna da vivere come operaio al macero di Praga. «Per 35 anni ho pressato la carta vecchia - dice Hant’a - e se dovessi nuovamente scegliere, non vorrei fare nient’altro che quello che ho fatto in questi 35 anni». Nell’«Ulisse» di Joyce il viaggio di Leopold Bloom per le strade di Dublino prende le mosse dalla tazza del water “luogo deputato per il deposito delle scorie”, precisa lo studioso.

Sulle foto dell’immondizia hanno costruito la loro fortuna Bruno Mouron e Pascal Rostain, paparazzi poi riciclatisi in artisti d’avanguardia che portano in giro per il mondo una mostra intitolata “Autopsie” dove esibiscono ai curiosi le immagini dei rifiuti prodotti dalle star. Impossibile poi dimenticare che nel reality Grande fratello a partire dal 2007 la produzione ha deciso di aggiungere nella casa dei concorrenti una “discarica” dove rinchiudere i peggiori della settimana, un colpo di trash tv che però non si è rivelato utile per risollevare gli ascolti.

Impossibile, insomma, escludere la spazzatura dall’orizzonte della nostra umanità. L’immondizia, ribadisce Zaccuri dopo aver chiamato in causa letteratura, economia, arti visive, cinema e tv, fa parte del reale. «Chi prova a negarlo - aggiunge in conclusione - è condannato a trasformare in scarto la sua esistenza. Chi invece lo comprende scopre quello che osserva lo spettatore del film “American Beauty” dove negli ultimi fotogrammi il regista cattura l’immagine di un rifiuto e trasmette la vitalità di ogni cosa, la forza alla quale, in mancanza di meglio, diamo il nome di bellezza, ovvero quel che rimane quando nient’altro resta».

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