Nobel a Bob Dylan, il creatore della “nuova poesia”
TRIESTE «Per essere un poeta non è necessario scrivere. Alcune persone che lavorano nelle stazioni di carburante sono poeti. Non mi definisco tale. Sono un artista del trapezio». Così diceva Bob Dylan nel 1965. Certo, la grande tradizione di camionisti poeti e cowboy cantautori… Invece lui, il cantante idolo di almeno tre generazioni, poesie ne ha sempre scritte, almeno fin dal liceo quando incontrò i poeti beat. E così i giurati del prestigioso Nobel per la Letteratura, chiusi dietro le porte stile impero dell'Accademia di Svezia, con gli occhi del mondo puntati in streaming, hanno deciso di premiare «un grande poeta della tradizione orale inglese».
L'ultima volta del premio negli Stati Uniti era il 1993 e a riceverlo fu la scrittrice afroamericana Toni Morrison, poi anni di grandi scommesse e altrettante delusioni. Ma ora ecco l'annuncio: il vincitore 2016 è Bob Dylan «per avere creato nuove espressioni poetiche nella grande tradizione della canzone americana». Sara Danius, segretario permanente dell'Accademia svedese, prova a dare un solido sostegno a una scelta che a appare subito traballante e chiama in causa addirittura Omero e Saffo: «Anche i loro testi venivano recitati con l'accompagnamento della musica» dichiara, «e noi oggi li leggiamo ancora come massime espressioni dell'arte poetica».
Bob Dylan come Omero, il salto è da trapezisti audaci. Lo scrittore svedese e giurato del premio, Per Wastberg, ci tiene a precisare che «Dylan è probabilmente il più grande poeta vivente», con buona pace del siriano Adonis, degli americani Ashbery e Collins, del greco Patrikios o lo spagnolo Gamoneda, per nominarne alcuni.
Una scelta che farà discutere. Non erano pochi i nomi americani in corsa, dai soliti Philip Roth e Joyce Carol Oates, ai meno ovvi Thomas Pynchon e Cormac McCarthy. Ma il premio parla chiaro, siamo nell'era liquida delle contaminazioni e non esistono più rigide barriere di canone letterario. Fa letteratura, sembrano dire i giurati svedesi, chi riesce continuamente a reinventarsi sperimentando, e nel contempo a dare voce a un'epoca e intere generazioni. E Bob Dylan è senza dubbio uno dei simboli più potenti che hanno attraversato gli ultimi cinquant'anni.
Nato nel Minnesota, dove inizia a suonare nel circuito folk con la sua famosa armonica a bocca, si trasferisce a New York all'inizio degli anni '60, in quel Green Village dove stanno artisti e spacciatori e dove nascono le nuove forme d'arte. Il pubblico inizia ad adorarlo come un profeta e lui diventa il cantore delle proteste, per poi finire come cristiano rianto a registrare album evangelici.
Passa il tempo, ma a 75 anni Bob Dylan incarna a pieno il mito americano, una certa idea di poesia epica e nostalgica, un'elegia da frontiera rivoluzionaria che fa intonare a milioni di persone "Blowin' in the Wind" e "Mr. Tambourine Man" con gli occhi lucidi. I libri sono pochi: "Tarantula", una raccolta di versi e giochi di parole, "Lyrics 1962-2001" che riunisce molte delle sue canzoni, e il primo volume dell'autobiografia "Chronicles 1" tutti pubblicati d. a Feltrinelli.
Se gli ultimi vincitori del Nobel erano stati più sobriamente la giornalista e scrittrice bielorussa Avetlana Alexievich, il romanziere francese Patrick Mondiano, e la scrittrice di racconti Alice Munro, con Bob Dylan l'Accademia di Svezia fa un passo che potrebbe essere d'avanguardia oppure, come ha twittato Irvine Welsh, potrebbe sembrare «un premio scaturito dalla malintesa nostalgia di un gruppo di vecchi hippy rimbambiti».
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