Nicolò Bongiorno e i Leoni di Lissa negli abissi per toccare il “Re d’Italia”

«Mio padre Mike Bongiorno amava molto i viaggi e gli sport, mi ha trasmesso questa emozione: ora faccio il mio percorso, ma l’ispirazione me l’ha data lui». Così il regista Nicolò Bongiorno, figlio del grande conduttore scomparso nel 2009, parla della scintilla che lo porta da tempo a girare documentari in cui esplora il mondo e i nodi cruciali della nostra storia. Il suo ultimo film “Leoni di Lissa”, che sarà presentato come evento collaterale al Trieste Film Festival (18-25 gennaio) parte dalla celebre battaglia navale del 20 luglio 1866 tra l’Impero Austro-ungarico e il Regno d’Italia, ma è soprattutto un viaggio fantastico negli abissi per toccare con mano il relitto della nave ammiraglia Re d’Italia, affondata quel giorno.
«Mio padre amava l’immersione subacquea, la praticava negli anni ’60. Nel film c’è l’immagine in bianco e nero di un sub che si muove: è proprio lui, in un’immagine d’archivio», dice Nicolò Bongiorno. Il regista accompagnerà il documentario a Trieste ed è da sempre interessato alla storia dei rapporti tra i Balcani e l’Italia anche per motivi personali: «Mia moglie è croata, la sua famiglia di origine italiana si è trasferita in Dalmazia da molte generazioni». Nel 2004 Bongiorno ha girato un documentario storico sugli esuli, “Esodo”. “Leoni di Lissa”, invece, è un film diverso, che comprende i meravigliosi disegni dell’illustratore serbo Vuk Jevremovic e piccole parentesi di ricostruzione in fiction.
Bongiorno, perché ha scelto proprio la Battaglia di Lissa?
«Non sono un esperto di storia: il mio è un film d’azione e avventura. Come autore sto seguendo un percorso di esplorazione, con una trilogia: il primo capitolo è stato un’esplorazione in ascesa, con il documentario “Cervino, la montagna del mondo”. Qui ho voluto affrontare l’immersione. Col terzo film guarderò verso gli orizzonti dello spazio, oltre il pianeta Terra».
Perché quella battaglia ha ancora molto da raccontarci?
«Continuiamo a confrontarci con i grandi quesiti della nostra unità, cos’è l’Italia, su quali basi si è formata. La battaglia di Lissa non è nota quasi a nessuno, ma è un momento topico della nostra storia che ha influito molto sulla psicologia nazionale soprattutto per i territori dell’Adriatico».
Come ha ricostruito il puzzle della battaglia?
«Mi sono immerso nella parte storica girando negli archivi tra Roma, Torino e la Croazia: in tutti i musei marittimi si trova molto materiale. Ma è stato affascinante soprattutto immergermi nella realtà locale: sono andato a Lissa e ho coinvolto nel film alcuni dei suoi abitanti, come il professore di filosofia e poeta che da anni si occupa di cultura marittima e parla del mare come di un ponte. E poi c’è un campione d’apnea che vive a Lissa: insieme a lui e al grande esploratore italiano Roberto Rinaldi, che ha lavorato con Jacques Cousteau, sono riuscito a raggiungere il relitto. Filmare a 110 metri, con quella fotografia, è stata una piccola impresa: abbiamo toccato il relitto con mano, con un approccio più umanistico. Non era mai stato fatto».
Suo padre le ha mai dato qualche consiglio?
«Non ha mai dato a noi figli consigli professionali specifici, era un uomo di un certo stampo, piuttosto rigoroso: ci ha lasciato lo spazio per fare le nostre cose. Ma è sempre stato un modello di lavoro serio e professionale. Oggi la tv è un altro universo. Io faccio il mio percorso nel documentario d’autore in modo indipendente con la mia piccola casa di produzione, Allegria Film: il nome è proprio un omaggio a mio papà. Il prossimo passo è un progetto in India e in Himalaya sui cambiamenti climatici». —
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