Nereo Zeper, ecco le istruzioni per l’uso del triestino

Una “Grammatica del dialetto” firmata dal regista e scrittore che ha inventato il Mago de Umago
Di Furio Baldassi

Difficile, il dialetto triestino. E fuorviante, per chi voglia parlare anche solo un italiano decente. Il “patocco” lo riconosci ovunque, da qui alla Terra del Fuoco. È l’unico a fare regolarmente baruffa con i congiuntivi, a pronunciare la frase devastante “se io avrei” in tutti i contesti. Non è colpa sua/nostra. Caso più unico che raro, Trieste è probabilmente una delle uniche città italiane, se non del mondo, dove tutti si sentono legittimati a rivolgersi a una terza persona in dialetto. Al telefono come in uno sportello pubblico. Del resto lo parlano l’80 per cento almeno dei residenti, compresi gli “acquisiti”, con accenti più o meno folcloristici (“Ciò mullo, demmo a farse un spritz”).

Anche e soprattutto per questo, Nereo Zeper ha sentito il bisogno di dare alle stampe la sua “Grammatica del dialetto triestino” (Bianca & Volta edizioni). Per fare un po’ d’ordine. Per confrontarla, non senza qualche sforzo, con quella italiana. Per spiegare, anche. Perché, come dice lo stesso Zeper in copertina, «se escludiamo le introduzioni ai dizionari, frammentarie dissertazioni e un paio di tesi di laurea, non c’è quasi altro riguardo alla grammatica triestina».

L’impresa è stata notevole. Perché il triestino, noi triestini, consideriamo la nostra lingua come il massimo della parlata possibile, e raramente siamo disponibili a scendere a patti «col ‘talian». Ci limitiamo a tradurre, a trasporre la nostra parlata e le nostre parole, con risultati spesso esilaranti.

Zeper questo lo sa bene, perché vanta un lungo excursus alla ricerca del dialetto e di tutte le sue più sconosciute varianti. Regista Rai, ha inventato collateralmente macchiette come El Mago de Umago e Cianeto, realizzato documentari come “Ladro di montagne”, oltre a lanciarsi in avventure da far tremare le vene e i polsi come la traduzione in triestino dell’Inferno e del Purgatorio di Dante, oltreché addirittura del collodiano Pinocchio, qui diventato Pinuci. Non è nuovo neanche a viaggi, diciamo così, “tecnici” nella lingua. Sua è anche la munumentale iscrizione con aggiornamento del Grande Dizionario del Dialetto Triestino di Mario Doria. Fu pubblicata, nel 2012, proprio su “Il Piccolo”, dove Zeper tiene la seguitissima rubrica “Morsi di lingua”.

«I triestini stessi – spiega Zeper – per comprendere analiticamente la loro parlata hanno bisogno di un riferimento con la lingua nazionale, di cui conoscono meglio le strutture grammaticali».

Il libro è molto curato e si presenta come una grammatica vera, con tanto di tempi, aggettivi, tutto quanto possa aiutare una lingua comunque viva come la nostra a essere da stimolo più che da limite nei confronti della parlata italiana.

Magari così, alla nostra prossima puntata in macelleria, non ci capiterà più di sentire la signora “bene” che ordina «una bisteca de videl» o la nonna che al giardinetto invita il pargolo a «non montare sullo scalino»...

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