Nemmeno Woody Allen si salva dal repertorio delle false citazioni



Se ci chiedessero chi ha pronunciato per primo la frase “il fine giustifica i mezzi”, quasi certamente risponderemmo Niccolò Machiavelli. Non c’è dubbio, peraltro, che il concetto sia insito nell’opera del Segretario fiorentino: nel capitolo XVIII del Principe l’autore ribalta il punto di vista etico tradizionale, mettendo in discussione la necessità che il principe sia fedele e leale. Machiavelli si rende conto della scandalosa provocatorietà del suo metodo; sa di infrangere convenzioni radicate, ipocrisie millenarie e falsi moralismi. Per questo precisa che per il principe «operare contro alla fede, contro alla carità, contro alla umanità, contro alla religione» è doveroso solo se «necessitato». In altre parole, è la necessità (cioè il mantenimento dello Stato) a determinare la condotta dell’uomo di potere e a richiedere, a seconda delle circostanze, l’adozione di questo o quel comportamento. Per esempio, nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (I, 9), a commento dell’assassinio del fratello Remo perpetrato da Romolo per governare da solo a Roma, Machiavelli si guarda bene dall’esprimere una condanna, invitando al contrario a valutare «che fine lo avesse indotto a fare tal omicidio» e aggiungendo: «Conviene bene, che, accusandolo il fatto, lo effetto lo scusi». «Non partirsi dal bene, potendo, ma sapere entrare nel male, necessitato» (ancora Il Principe, XVIII): sarebbe auspicabile, ribadisce Machiavelli, che il principe si comportasse come richiedono i cardini della morale, ma talvolta è necessario che non lo faccia.

Tutto vero. Eppure, la frase “il fine giustifica i mezzi” in quanto tale Machiavelli non l’ha mai scritta. È questa una delle “citazioni sbagliate” raccolte ed elencate da Stefano Lorenzetto nel suo libro “Chi (non) l’ha detto. Dizionario delle citazioni sbagliate” (Marsilio, pagg. 398, euro 18,00). Credo quia absurdum (Ci credo perché è assurdo): attribuita alternativamente a Sant’Agostino o a Tertulliano, la frase in realtà non ha una paternità certa, ma indica semplicemente l’irriducibilità della fede alla ragione (e questo è un dato di fatto). Comunemente storpiata risulta, invece, una celebre citazione dantesca: «Non ti curar di lor, ma guarda e passa». Il testo corretto riporta invece «Non ragioniam di lor, ma guarda e passa» (Inferno, III, 51), in riferimento agli ignavi che Virglio invita Dante ad abbandonare senza remore al loro destino.

Normalmente attribuita a Woody Allen è la battuta «Dio è morto, Marx pure, e anche io non mi sento molto bene». Ma non risulta che la freddura rientri nel repertorio dell’attore di Brooklyn. Secondo alcuni sarebbe stata partorita da Eugène Ionesco, campione del teatro dell’assurdo, che però ha lasciato nel suo diario la seguente frase: «Dio non può morire. È l’unica cosa che non può fare. Se l’uomo è stato creato a immagine di Dio, l’uomo non morirà. Dio non lascerà estinguere la propria immagine». E neanche siamo sicuri che sia stato proprio Giulio Andreotti a dire che «a pensar male si fa peccato, ma spesso s’indovina». Pare che gliel’abbia attribuita Giovanni Malagodi, presidente del Partito liberale, in un’intervista del 1977. «Ecco - spiega Lorenzetto - il principio delle citazioni prive di riscontri è esattamente questo: basta che siano congegnate a tavolino in modo da sembrare credibili e diventano vere». Dunque risulta prezioso questo lavoro di “smontaggio” di tanti falsi che circolano indisturbati. E che per pigrizia intellettuale siamo portati a considerare veri, ripetendoli a nostra volta e così contribuendo a perpetuare l’errore. –



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