Nell’operosa Città Franceschina

In via dell’Acquedotto c’erano uffici consolari, attività commerciali e artigianali e i saltimbanchi davano spettacolo
Era consigliato frequentarlo agli “ammalati di poltroneria, malinconia e affezioni isteriche
Dalla collezione della Foteteca dei Civici Musei un’immagine del passeggio all’inizio dell’Acquedotto, cuore pulsante del Borgo Franceschino
Dalla collezione della Foteteca dei Civici Musei un’immagine del passeggio all’inizio dell’Acquedotto, cuore pulsante del Borgo Franceschino

“Quivi il più bel mondo concorre gioioso sfoggiando le sue mode, i suoi capricci e il suo lusso”. Dove siamo? In via dell’Acquedotto, cuore del Borgo Franceschino, che nel 1830 il conte Girolamo Agapito racconta nella sua “Descrizione di Trieste”. È la scintillante vita triestina delle passeggiate, dei caffè chantant, del giardino che fu l’orgoglio di Domenico Rossetti e dove nasce l’attuale Via XX Settembre.

Un Borgo animato da uffici consolari, attività commerciali e artistiche, legato a doppio filo all’evoluzione urbanistica e commerciale della città, indispensabile chiave di lettura per comprenderne lo sviluppo.

Durante il regno di Maria Teresa d’Austria (1740-1780) la città iniziò infatti la sua galoppante trasformazione. Le mura della città vecchia vennero abbattute, si interrarono le saline creando una nuova area dalla caratteristica maglia geometrica. Era il Borgo Teresiano, ma l’Imperatrice Maria Teresa non lo vide mai, nonostante i suoi quarant’anni di regno, poichè mai fu a Trieste.

Grazie al regime di porto franco, istituito dall’Imperatore Carlo VI il 18 marzo 1719, la città divenne il cuore per lo scambio commerciale con il bacino mediterraneo e danubiano. Servivano nuovi spazi. Ecco allora che a partire dal 1788 iniziò l’edificazione del nuovo Borgo Giuseppino, attorno all’attuale piazza Venezia, con edifici sia di rappresentanza sia residenziali e che sulle Rive rispondevano all’attività portuale.

Una storia a sè fu quella del Borgo Franceschino, nato grazie a una concessione dell’Imperatore Francesco II. Progettato a somiglianza di quello Teresiano, con dimensione degli isolati maggiore, si estendeva a nord di via del Torrente (oggi via Carducci), tra la contrada del Molino Grande (oggi via Battisti) e la contrada del Coroneo, dove i padri mechitaristi armeni coltivavano gli orti allargandosi poi ulteriormente a sud con la nascita dei borghi Chiozza, Maurizio, Conti e Cassis.

Ufficialmente denominato Città Franceschina, nacque per decreto del 18 marzo 1796. Si stabiliva in seguito che l’acquisto dei terreni doveva essere consentito “senza riguardo a religione” e che le “arti sordide potranno esercitarsi soltanto nella parte del borgo più distante dalla città”, ricorda Fabio Zubini nel libro ‘Borgo Franceschino’.

Per accelerare l’insediamento delle attività artigianali, con un’ordinanza del 1800 si invitarono a stabilirsi qui artigiani di ogni genere: dai bottari ai sellari, dai remari ai marangoni. A fianco del Borgo si estendeva, tra la via del Torrente e la collina di Scorcola, la caserma Grande istituita nel 1785 con il suo grande piazzale dedicato alle esercitazioni militari - la Piazza d’armi - che confinava con la cosiddetta piazza del fieno o dei foraggi – oggi Foro Ulpiano - nei pressi del quale c’era anche un macelletto e, verso via del Coroneo, il lavatoio.

Il passaggio dell’Acquedotto venne creato tra il 1807 e il 1808 per iniziativa di Domenico Rossetti (1774-1822). Sensibile fin da giovanissimo alle bellezza della Natura, nel 1806, non appena i mezzi glielo consentirono, acquistò una piccola campagna all’altezza di via Piccolomini, poi allargata con un fondo urbano. Presto diventò un bel giardino, poi arricchito di serra, uccelliera, piante, fiori, e garofani di quante specie gli riuscì di trovare. La via d’accesso venne trasformata in pubblico passeggio, chiamato dell’Acquedotto: un sentiero campestre su cui si allungava un fosso che raccoglieva le acque del versante di Chiadino. Spesando la copertura del fosso, Rossetti impiantò un filare di alberi al quale, nel 1811, l’amministrazione allora napoleonica ne aggiunse un secondo.

La popolarità del Passeggio si deve anchè a un pozzo fatto scavare dal Rossetti la cui acqua per freschezza e sapore acquistò la fama di salubre e curativa, raccomandata “agli ammalati di poltroneria, malinconia e affezioni isteriche”. Il luogo divenne presto luogo d’incontro e piacevole svago per i triestini. Nel fondo, non mancavano saltimbanchi e ciarlatani che qui alzavano le loro baracche, casotti di burattini, mostruosità e bizzarrie come la donna cannone, l’equimese (di certificate origini Cadorine), spettacolini di pulci ammaestrate impegnate a trainare minuscole carrozze o a dondolarsi su microscopiche altalene.

Molti i commercianti che qui ebbero casa e bottega. Nel 1801 Carlo Luigi Chiozza, originario di Genova, arricchitosi con la fabbrica di saponi trasferita dal Ponterosso in via del Torrente, acquistò vasti latifondi in quello che venne chiamato borgo Chiozza. All’inizio del XIX al suo fianco sorse il Borgo Maurizio, tra la piazza dell’Ospitale, le vie Tarabocchia, Carducci e Foschiatti, dove si svilupparono attività industriali, tintorie, una fabbrica di maioliche e nel 1816 una fonderia. Il Borgo Conti aveva il suo cuore nell’Ospedale Maggiore, costruito tra il 1833 e il 1841, “fornito di bagni terapeutici, di ricco armamentario chirurgico e di un museo patologico” scriveva Ettore Generini nel 1882. E dietro l’ospedale, tra via Gatteri e via Rossetti, era il Borgo Cassis, dall’avventuroso conte Antonio Cassis Faraone, “cristiano Creso d’Arabia” già proprietario del Teatro Verdi.

Oggi se ne è quasi persa la memoria ma qui, all’inizio di via del Coroneo, venne inaugurata il 15 agosto del 1817 l’Arena Diurna o Anfiteatro Diurno con gli spettacoli delle compagnie comiche Andolfati e Goldoni: una costruzione in legno a sei gradinate capace di ospitare fino a 2.400 spettatori, attivo nella bella stagione da maggio a novembre. Nel 1854, su un fondo acquistato dalle monache benedettine, venne costruito il giardino pubblico con tanto di caffetteria, che nel 1880 venne dedicato al suo creatore, Muzio de Tommasini, naturalista e podestà di Trieste. Ad arricchire la vivace offerta artistica, tra il 1877 e il 1879, fu l’edificazione del teatro Rossetti, inaugurato il 17 aprile 1878 con il Ballo in Maschera di Giuseppe Verdi. Non solo musica sulle sue scene: rappresentazione di circhi con acrobati, giocolieri e animali si alternavano nel programma. In zona si trova una delle sinagoghe più grandi d’Europa, il tempio israelitico realizzato dagli architetti Ruggero e Arduino Berlam tra il 1907 e il 1912.

Molti i locali pubblici, caffè in particolare, che tra il primo e il secondo decennio dell’800 nacquero nel Borgo, tra cui il celebre San Marco. Inaugurato dal proprietario Marco Lovrinovich il 3 gennaio 1914 al posto di una latteria, fu un ritrovo di irredentisti italiani. Non mancarono i caffè-concerto, come ad esempio Alla Follia, poi trasformato in teatrino, o il Gambrinus, dove si esibiva la cantante Lucienne Fabris, in arte Luce Fabrina, uccisa e tagliata a pezzi il 25 luglio 1908 dallo “squartatore di Roiano” Julius Födran von Födransperg.

Molto è cambiato oggi nel Borgo, ma dell’antica animazione la memoria è viva. Ricorda il conte Agapito, sempre riferendosi a quello che oggi è il Viale XX Settembre, “per cui questo spettacoloso frequentatissimo passeggio in ogni riguardo pareggia con quelli delle più popolose città e delle più splendide capitali”. —

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