Nelle sale del Conservatorio Tartini le idee girano con la gioia di un’osmiza

TRIESTE Mi viene in mente un’osmiza. Se dovessi tracciare la mappa di un luogo d’elezione, un luogo di incontro, scambio di idee, socializzazione e, a volte, di meditazione, partirei da un’osmiza. Purtroppo però, non essendo io triestino ma bisiaco, non ho una tale conoscenza delle osmizze triestine per poterle eleggere come mio “luogo del cuore”; ne ho una conoscenza superficiale, essendo invece un frequentatore delle “private” bisiache. Le coordinate su un’ipotetica mappa rischierebbero perciò di essere errate, o un po’ fuori misura.
A Trieste, però, c’è un luogo dove posso incontrare persone interessanti, scambiare idee, socializzare e, a volte, meditare: il Conservatorio Tartini. Facile per un musicista, certo. Ma mentre mi accingo a scrivere realizzo che sono più di quarant’anni che ho a che fare con il Tartini, dapprima come studente di contrabbasso classico (mi sono diplomato nel 1988) e poi, dal 2009, come insegnante di contrabbasso jazz. Una buona fetta della mia vita, del mio lavoro, della mia passione, ruota intorno al Tartini.
L’edificio di via Ghega risale all’inizio del XIX secolo e, dopo essere stato adibito a residenza privata della famiglia Rittmeyer, è stato occupato durante la Seconda Guerra Mondiale dalle truppe naziste, che come si sa ne fecero orribile teatro di una strage per rappresaglia, con l’uccisione di 51 persone. Solo nel dopoguerra, è stato designato come sede del Conservatorio “Giuseppe Tartini”.
Il mio esordio al Tartini risale all’anno 1981; molte cose sono cambiate, e mi viene sempre da sorridere quando penso che allora dovevo celare la mia passione per il jazz mentre ora sono addirittura pagato per insegnare questo linguaggio a dei giovani studenti.
Il destino mi ha perciò dato l’occasione di ripagare, almeno parzialmente, il mio debito con quell’istituzione: quello che una volta ho preso, anzi appreso, dai miei Maestri (che approfitto per ringraziare in maniera riconoscente per quello che mi hanno dato) ora sto tentando di restituirlo; anche se credo che io stia continuando a prendere e ad apprendere molto al suo interno (dagli studenti stessi, dagli altri colleghi e dalle innumerevoli occasioni di crescita in cui, volendo, ci troviamo immersi tutti).
Insomma, nell’arco della mia vita è cambiata completamente la prospettiva dalla quale osservo quel luogo, ma mi viene restituita sempre una vista piacevole, istruttiva, che arricchisce la mia persona.
Mi piace pensare di essere inserito in una rete di relazioni dove i luoghi e le persone sono i “nodi” che mettono in comunicazione diverse realtà, ognuna con la sua specificità. Se parliamo di arte, io considero fondamentale il fatto che ogni artista debba esprimere il suo mondo personale, inimitabile e unico; tutte queste specificità devono però essere interconnesse per permettere che all’interno di una certa “area” ci sia crescita di idee, di iniziative, di offerte.
In questi anni ho constatato che il Tartini è un importante nodo culturale: come dicevo all’inizio, si incontra, si impara, si scambiano idee. Fortunatamente, nel tempo la struttura si è aperta al mondo esterno e sono diverse le occasioni in cui un normale cittadino può avventurarsi al suo interno per “prendere” qualcosa: la fortunata serie di concerti dei Mercoledì del Conservatorio, ad esempio, oppure le discussioni delle tesi di diploma, che sempre più spesso sono dei piccoli concerti/ conferenze di un livello, a volte, notevole.
Sono innumerevoli anche le occasioni in cui il Tartini esce dalla sua sede per portare la sua ricchezza in giro per la città, in collaborazione con tutti i più importanti operatori culturali che, fortunatamente, apprezzano il suo operato nel campo della didattica, della produzione e della ricerca artistica. Insomma, il Conservatorio può mettere in comunicazione tante realtà diverse e questa sua potenzialità deve essere assolutamente assecondata, a mio parere. Anche la cospicua presenza di studenti stranieri in Erasmus e di insegnanti di altre Accademie ospiti per masterclass e conferenze va in questa direzione. Perciò posso dire che la mia creatività ha trovato sempre molto nutrimento all’interno del Tartini e in questo periodo di forzata lontananza io sento questa mancanza. Concludo con un auspicio: che il Conservatorio possa continuare a guardare avanti, oltre che “conservare”. In questi ultimi anni sono state sviluppate delle tecnologie, come il sistema Lo.La. (acronimo di “low latency”) che dà il nome ad un protocollo di trasmissione di dati audio e video ad alta definizione che permette lo svolgimento, anche a grande distanza, di concerti, prove, masterclass e altri eventi in cui i partecipanti non si trovano tutti nello stesso luogo), che potranno rivoluzionare la maniera di fare musica per i musicisti di domani e cioè i nostri studenti. Anche se, dopo questa lunga segregazione forzata, forse sentiamo tutti la nostalgia di poter semplicemente suonare una canzone attorno ad un tavolo di un’osmizza. —
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