Nella Trieste delle spie si aggirava l’Agente 777

In attesa di Spectre, il ricordo dei Bond all’italiana: “Invito a uccidere” per la regia di Enrico Bomba girato in città con Tiziano Cortini
La copertina di "Agente segreto 777: invito ad uccidere"
La copertina di "Agente segreto 777: invito ad uccidere"

TRIESTE «Adoro i film sulle spie!», ha confessato Steven Spielberg presentando a New York il suo nuovo thriller “Il ponte delle spie”, con Tom Hanks. Oggi più che mai, è ancora tempo di agenti segreti, al cinema e non. L’ultimo 007 “Spectre” è in uscita (giovedì 5 novembre), un nuovissimo “Spy Museum” è stato aperto ovviamente a Berlino, e intanto nella Mosca di Putin, fra slogan anti Obama, 9 russi su 10 sognano l’Impero.

Così, a 50 anni dall’esplosione della Bondmania, ricordiamo che anche Trieste, già capolinea sud della Cortina di ferro, durante la Guerra fredda è stata una celebrata “città delle spie”. Se non bastavano il cult hollywoodiano “Corriere diplomatico” (1952) di Hathaway, con Tyrone Power in missione all’ombra di San Giusto, e il romanzo “Appuntamento a Trieste” (1953) di Scerbanenco, ecco che mezzo secolo fa, proprio in questi giorni, nella nostra città si tenevano le riprese di “Agente segreto 777: invito a uccidere”, uno dei più tipici esempi del cosiddetto “Eurospy”. Cioè il filone semidimenticato (ma Stracult) degli 007 di imitazione, che sfornò in pochi anni 170 titoli solo in Italia e una mezza dozzina solo a Trieste, favorita per l’identità di frontiera e la varietà del paesaggio.

Star del film era la bionda star francese Hélène Chanel, già in lizza con Marilù Tolo per la parte di vera Bondgirl (che poi fu di Daniela Bianchi) in “Dalla Russia con amore” (1963). La Chanel, fotografata sul “Piccolo” cotonatissima e solare a San Giusto, ora ricorda soprattutto “quel vento terribile”, la bora. Intanto nelle cronache cittadine l’eroe era Nino Benvenuti, di lì a poco Agente 00SIS nei Caroselli per il Brandy Cavallino rosso.

«Piccolissimo budget, ma grande fascino d’epoca», scrive di “Agente 777” Marco Giusti nel suo divertente dizionario “007 all’italiana” (Isbn edizioni, 302 pp, 35 €), che di questo fenomeno loda la capacità di aver diffuso, col filtro della “spy story”, temi quali la Guerra fredda, la liberazione sessuale e la pop art.

Ma di “Agente segreto 777” e della singolare epopea degli “Eurospy” in quella “Swinging Trieste”, parliamo con una testimone diretta, la triestina Graziella Marsetti, allora segretaria di edizione.

«Il film fu girato per gli esterni soprattutto in Carso – ricorda –. Per gli interni nella villa Modiano di via dell’Eremo, all’Hotel Excelsior e negli studi che Bruno Ceria aveva allestito alla Fiera di Montebello. Ceria era un triestino di origine torinese, ingegnere fonico, che lavorava con una società che aveva l’appalto dei radar sulle navi militari jugoslave. Ma aveva fatto anche il Centro sperimentale di cinematografia a Roma, e così nei primi anni ’60 ebbe l’idea di utilizzare gli spazi della Fiera, vuoti quasi tutto l’anno, per aiutare le produzioni italiane e tedesche che giravano nei dintorni i film di genere allora in voga (peplum, bellici, spionistici, western). Mise insieme una valida squadra di tecnici, incluso il bravo scenografo Oscar D’Amico, si servì degli uffici, usò il capannone più grande come teatro di posa».

Chi era l’Agente 777 e che avventure viveva? «Il personaggio si chiamava John Gordon e indagava sul rapimento di uno scienziato nucleare. L’attore era Lewis Jordan, cioè Tiziano Cortini, un emiliano alto e gentile che aveva anche scritto la storia, un bravo sceneggiatore che all’occorrenza faceva l’attore. Il film era una specie di sequel di “Agente segreto 777 operazione Mistero”, girato a Beirut con un altro cast, con alcune sequenze completate a Montebello. Così il produttore Pier Luigi Torri e il regista Enrico Bomba (pseudonimo Henry Bay) decisero di girare un nuovo capitolo a Trieste con Cortini, che nel primo film aveva un altro ruolo. Il regista Bomba era una persona deliziosa: anche produttore, playboy, era celebre per la relazione con Jane Mansfield. Torri era un personaggio discusso: legato a Marisa Mell, morì misteriosamente in Sudamerica con la testa nel forno. Nel cast di “777” c’erano anche due triestini, Umberto Raho e Daniel Turk. In quei giorni a Trieste si girava anche un altro film simile, “Missione morte molo 83” di Bergonzelli con Anna Maria Pierangeli».

C’erano sequenze spettacolari “alla James Bond”? «Ricordo quelle con inconvenienti. Fu allestito un finto incidente sulla camionale fra una macchina e un autobotte che poi si incendiava, perché dentro c’erano delle bombe a mano. Alla fine però si vedeva l’intelaiatura di legno e così ci gettammo con l’operatore a girare vicino al fuoco, sperando che le bombe fossero esplose tutte! Ci fu anche la picchiata di un aereo da turismo verso il suolo, ma il pilota, ignaro della zona, puntò su Redipuglia e dovemmo rifare la scena! La vicenda era ambientato in Svezia, fu costruita una casetta nordica sul Carso. Girammo anche in porto, con una gru che tirava giù una cabina telefonica».

E le riprese alla villa Modiano? «Un posto magnifico, ci abitavo da ragazza con la mia famiglia di origini istriane. Una sera il regista, accompagnandomi a casa, la vide e decise di usarla come set. La villa era stata progettata dai Berlam, fu occupata durante la guerra dal Gauleiter che costruì una piscina, poi fino al ‘54 fu circolo ufficiali degli inglesi che aggiunsero un galoppatoio e un campo da baseball. C’erano boschi e boschetti. Nel 1979 fu demolita, ma io ne sto scrivendo la storia».

Quando iniziò a lavorare nel cinema? «Nel 1961 diciottenne con “Senilità”, dove conobbi Bolognini. Poi iniziai a collaborare a Montebello con Ceria perché sapevo il tedesco ed ero utile per le coproduzioni con la Germania. Nel ’63 girammo la commedia “Zwey Whisky und ein Sofa” con Maria Schell, vera star all’epoca. Poi seguii “The Cavern”, ultimo film di Edgar Ulmer, girato alla Piscina Bianchi. Nel dicembre del ’64 mi trasferii a Roma dove rimasi fino all’86, lavorando in tutto in 200 film. Ma tornavo a Trieste negli anni di Ceria per spionistici come “Missione apocalisse” (‘66) o “Riuscirà il nostro eroe a ritrovare il diamante più grande del mondo?” (’71), entrambi di Guido Malatesta».

50 anni fa sulla prima pagina del “Piccolo” c’erano ogni giorno la guerra in Vietnam, la corsa alla Luna, le tensioni con l’Est. Come era vissuta la Guerra fredda sui set dei finti 007? «Per la verità non era affatto sentita. Eravamo giovani e non sapevamo tante cose. Ad esempio il regista austriaco Rolf Olsen, a Trieste per il thriller “La locanda delle bambole crudeli” (1967), ci chiese della Risiera per girare alcune scene. Cademmo dalle nuvole, e il figlio del sindaco Gianni Bartoli, Bruno, che lavorava con Ceria, chiese al padre: “Ma dov’è questa Risiera?”».

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