Nella Cronaca delle Baracche la vita stravolta dei “rimasti” dove la memoria è resistenza

La vasta opera narrativa di Nelida Milani raccolta in tre volumi pubblicati dall’editore Ronzani. Nei testi della scrittrice di Pola il difficile dopoguerra di chi scelse di non lasciare la sua terra

Cristina Benussi

TRIESTE Appena usciti per l'editore Ronzani, e curati da Mauro Sambi, i tre volumi della Cronaca delle Baracche ripercorrono la vasta opera narrativa di Nelida Milani, proponendone anche alcuni inediti. "Le Baracche" è il nome con cui è conosciuto il rione operaio di S. Policarpo, a Pola, da dove la scrittrice, una delle voci più significative dei "rimasti", si interroga sugli eventi storici e i contraccolpi culturali che nel secondo dopoguerra hanno stravolto la vita di chi si è trovato a vivere in Istria: da qui molti italiani sono infatti fuggiti, lasciando posto ad altri, parlanti un'altra lingua.

L'osservatorio da cui l'autrice guarda il disfarsi del suo mondo e il formarsi di un altro non privilegia infatti una lettura storico-politica, che pur ha caratterizzato quella trasformazione, bensì sottolinea il rischio della damnatio memoriae che potrebbe colpire innanzitutto la parola materna. È questa che permette di dar forma al proprio mondo, anche interiore, spazio in cui riconoscersi, come è accaduto in un preciso luogo-simbolo della comunità rimasta, L'osteria della Parenzana, dove si sono condivisi, quasi ritualmente, il cibo e le parole.

È questo il sottotitolo del primo libro della trilogia, testimone del difficile equilibrio in cui si è costretti a vivere, tra spinte a un più conciliante oblìo e il doloroso richiamo alla memoria. L'autrice si assume allora in pieno un compito fondante: se i giornalisti operano sul piano formativo, etico e civile, e gli storici lavorano su quadri d'insieme integrando o modificando le versioni della storia ufficiale, gli scrittori introducono «nella memoria il vissuto degli esseri umani e producono emotività e immedesimazione». Creano insomma quella grande ricchezza che è la diversità.

Scrivere nella propria lingua significa allora compiere un atto di resistenza per affermare con coraggio le proprie idee e avere così la possibilità di confrontarsi con quelle degli altri. Con il secondo volume, Agnus dei, Nelida Milani può allora entrare nel cuore della tragedia vissuta, affrontando il tema della guerra e dell'esilio. Nel racconto d'apertura, Scacchi, immagina un dialogo tra l'Onnipotente e il Maligno, intenti a una partita le cui pedine sono costituite dai vari popoli, mossi su un'immaginaria scacchiera per farli sopraffare a vicenda in battaglie ed esodi.

È evidente che in questo genere di sfide non ci possono essere finali definitivi, bensì sospensioni momentanee, che permettono solo di far sparire guerrieri e profughi nel buio di una caverna «al riparo per sempre». Dunque la scrittrice ripercorre la storia d'Istria e d'Europa, fino all'ultimo conflitto balcanico degli anni Novanta, mostrando parallelismi inquietanti tra le vittime italiane infoibate e quelle bosniache in fuga dalle milizie serbe. E, alternando note tragiche con altre sarcastiche, squaderna gli effetti devastanti delle teorie sulla purezza della razza.

Con il terzo volume, La partita, attraversato il buio della storia, Nelida Milani può infine guardare anche al presente e alle trasformazioni intervenute nel corso dell'annosa partita tra «memoria e oblio». Avendo ben compreso che «la realtà si presenta a schegge, a indizi» e che «persino i paesaggi sono frammenti di un insieme che sfugge» la scrittrice è riuscita a rappresentare, perfino con più tranquillizzanti note comiche, quella comunità che ha opposto resistenza, anche grazie al suo impegno intellettuale. In una moderna visione della complessità, infatti, la persona, con la sua cosiddetta identità, è ora vista come il costituirsi di un intreccio delle più diverse componenti, intellettuali ed emotive, che possono variare nel tempo, per cui muri, demarcazioni, differenze, spazializzazioni assumono un significato in progress in rapporto al processo di adattamento che si è costretti a compiere.

Gli italiani rimasti in Istria sono certamente cambiati e Nelida Milani, nei tanti anni vissuti nelle istituzioni culturali della minoranza, ha saputo influire non poco sulla formazione di una loro nuova coscienza. Nel fare ciò ha anticipato quanto la cultura europea dei "Border Studies" veniva elaborando, a proposito di territori che non cessano di essere visti ancora come luogo in cui il passato vive congelato in una dinamica di sopraffazione reciproca. Il conflitto non può non esserci, perché è «fondamentale in democrazia», come confronto e forma di interazione, dal momento che si tratta di rinegoziare in continuazione uno spazio sociale e culturale che mai più potrà coincidere con quello di partenza.

La partita è sempre aperta, come ci suggerisce l'autrice che, pur non dimenticando il passato, tiene il passo coi tempi rivolgendosi soprattutto ai giovani per convincerli a introdurre, nel linguaggio omologante dei social, quegli elementi di disturbo che portino a raggiungere la consapevolezza, nel caso specifico, del rapporto condizionante tra messaggio e mezzo tecnologico; a riflettere sul privilegio esperienziale, ad esempio, del bilinguismo e del biculturalismo; a credere infine all'inesauribile potenza della scrittura che permette di raccontare dai più diversi punti di vista la storia di quelle terre, ma soprattutto di affinare gli strumenti epistemologici in grado di interpretarla e di attualizzarne il senso.

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