Nella Budapest del 1945 sotto assedio Kinga scrive la sua storia ungherese

La battaglia di Budapest, combattuta fra il 29 ottobre 1944 e il 13 febbraio 1945, è riconosciuta dagli storici come una delle più importanti battaglie a distanza ravvicinata in aree urbane della seconda guerra mondiale, e una delle più grandi operazioni militari nel settore meridionale del fronte orientale. Nei furibondi combattimenti fra le truppe tedesche e ungheresi fedeli al nazismo e l’Armata Rossa che le cingeva d’assedio, le truppe del Reich alla fine furono sconfitte in quella che è considerata come la battaglia più violenta, accanita e cruenta dopo Stalingrado. A farne le spese, soprattutto e come sempre, i civili, costretti a vivere fra continui bombardamenti e scontri armati, con poca acqua, poco cibo e nessuna assistenza, presi tra due fuochi mentre la città veniva fatta a pezzi.
Ed è in questo inferno che Margherita Loy (figlia della scrittrice Rosetta), autrice di libri per l’infanzia, ambienta i suo primo romanzo, “Una storia ungherese” (Ed. Atlantide, pagg. 201, Euro 20,00), prezioso racconto di formazione tratto da vicende familiari cui l’autrice ha attinto a piene mani.
Siamo nel gennaio del 1945, e mentre bombardamenti e combattimenti fanno a pezzi Budapest, Kinga, ventenne sensibile e innamorata del giovane ebreo Gyalma, rifugiata nella cantina della sua casa, tiene un diario. Come una Anna Frank costretta a una non-vita per colpa di una guerra che lacera e distrugge ogni cosa, città, Paesi, vite e sentimenti, nella sua puntigliosa cronaca quotidiana Kinga inizia ricordando il padre, pittore italiano tornato in Italia dopo aver abbandonato la famiglia; racconta poi il rapporto con il fratello Alexander, e con la nonna Oma, che vive a Zsurk, nella provincia di Szabolcs-Szatmár-Bereg, in una casa-castello dove la ragazza ha vissuto dai tredici ai quindici anni. Racconta ancora di come affronta ogni giorno, aiutandosi con Mimi, la promessa sposa del fratello, l’estrema fatica del vivere, sostenuta dall’ affetto per Maxi, il cane da cui non si separa mai. Il tempo sembra non passare nel rifugio, mentre fuori il pericolo più grande sono le Croci frecciate, gli ungheresi nazisti che non hanno alcuna pietà per i loro compatrioti ebrei. «Mi sembra impossibile che io sia la stessa che guardava piena di speranza la grande pianura davanti a me e che ora, sporca e affamata, sottoterra, sogna e ricorda», scrive Kinga. Che annota le sue giornate scrupolosamente, portando il lettore a conoscere l’orrore di una città assediata: la fatica di procurarsi acqua e cibo, la sporcizia, la carne tolta dalle carcasse dei cavalli morti, la promiscuità dell’esistenza divisa con altri rifugiati. Margherita Loy tesse con grande abilità l’arazzo della tragedia, lo squallore visto dagli occhi di una ragazza che sembra non avere davanti a se alcuna speranza. Anche l’amore per Gyalma, conosciuto proprio a Zsurk, amato per un giorno sulla sponda di un lago, sembra sbiadire: «Se la guerra mi ha diviso da Gyalma, come credevo quando ho iniziato a scrivere, ora so che non è così, non siamo mai stati uniti, perché ciò che ho immaginato dopo quel giorno al lago è un’illusione. Ora so che per lui non sono stata che una breve passione».
Eppure anche nel tempo più buio le cose sono destinate a cambiare. La liberazione prima di Pest, poi di Buda, e l’arrivo dei solati russi, se all’inizio non sembrano alleviare le sofferenze di Kinga e dei suoi familiari, poco alla volta aprono spiragli di un futuro ancora possibile. Alla fine Kinga e sua madre decidono di lasciare le macerie di Budapest e di andare in Italia, a Cervignano, dalla famiglia del padre che ormai non c’è più. E molti anni dopo, nel 2004, un’anziana Kinga aggiungerà gli ultimi tasselli a una storia che - ancora una volta - ha l’amore come unico antidoto all’odio e alla distruzione. Anche quando dell’amore resta solo una lontana memoria. —
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