Nel Vangelo di Luca il primo presepio. E Giuseppe non c’era

Maurizio Bettini ricostruisce il processo anche teologico che ha condotto nei secoli  a una vera e propria scenografia culturale della Natività



Quella del presepio è una storia che conosciamo tutti. La Sacra Famiglia, la grotta, il bue e l’asinello, i Re Magi, i pastorelli, la mangiatoia. Ma se per fare il presepio seguissimo le indicazioni del Vangelo di Matteo sarebbe un disastro. Per fortuna chi a casa tira fuori dalle scatole tutto l’armamentario presepistico, non pensa ai Vangeli. Ammesso che li abbia letti. Perché - secondo l’evangelista - Gesù non avrebbe avuto né mangiatoia, né grotta, ma sarebbe nato molto più banalmente in una casa. Crollo di una certezza. E non è mica la sola. A ricostruire l’antropologia del presepio, ovvero il processo che ha condotto alla formazione di una vera e propria scenografia culturale della Natività, è Maurizio Bettini (saggista, scrittore, insegna Filologia classica all’Università di Siena), in “Il presepio” (166 pagg., Einaudi, euro 19,00).

Fortunatamente ci pensa Luca nel suo Vangelo a “riposizionare” statuine, stelle comete e animali: il re dei Giudei è un bimbo umile, deposto in una mangiatoia con Giuseppe e Maria, gli angeli, il gregge e i pastori. Gran parte del presepe è già qui. Certo, dovranno passare più di mille anni prima che, nella Greccio di San Francesco del 1223, questo racconto sia trasformato in un paesaggio popolato da statuine. Ma oggi non si può leggere Luca senza pensare al presepio.

Poi c’è la grotta: nell’antichità le mangiatoie stavano nelle stalle e spesso le stalle erano nelle grotte. La fate troppo facile. Ricordate? Zeus nacque in una grotta, così Ermes e così Dioniso. Tre nascite divine. Quindi, il fatto che Gesù fosse adagiato non in una culla bensì in una mangiatoia segna l’eccezionalità della nascita, il carattere straordinario del destino assegnato al piccolo.

Ma il bue e l’asinello? Luca non li cita. Eppure, pensate allo stesso Zeus, o a Romolo e Remo: il neonato soccorso dagli animali era un modello parecchio in voga e ben radicato nel mondo antico. E anche il racconto relativo al figlio di Dio doveva contemplare la presenza di animali “irragionevoli”, che avevano compreso la grandezza di Gesù quando quasi tutti gli altri, intorno a lui, la rifiutavano. Nelle rappresentazioni figurative della nascita di Gesù, pitture sepolcrali o coperchi di sarcofagi, questi animali sonno presenti sin dal principio. Maria, invece, compare in genere sempre assieme ai Magi. E nella scena con i Magi, Maria e i pastori, l’immagine si arricchisce di una tettoia. Di Giuseppe invece non c’è traccia. Quindi, già nel IV secolo l’arte cristiana prevede un abbozzo di presepe. Infine, i re Magi. Sono i personaggi meglio caratterizzati del presepio (a parte Maria, Giuseppe e il Bambino): i pastori sono anonimi, poco distinguibili, le altre figure interpretano piuttosto mestieri e non persone. Loro no. Loro sono “persone”. Sappiamo da Matteo che sono maghi e che provengono dall’Oriente. Di certo, il lungo viaggio compiuto dagli esotici maghi, i rischi che sono disposti a correre e i preziosi doni (l’oro, simbolo di regalità; l’incenso, materia principe per le offerte alla divinità; e mirra, usata per la preparazione dei cadaveri: evoca la morte) confermano la superiorità della nuova religione - il cristianesimo - rispetto ai culti orientali che i Magi hanno rappresentato fino a quel momento. Gesù è il vero Dio al quale le altri religioni prestano omaggio. Curiosamente, all’inizio non erano affatto tre: erano 2, 4, persino 12 come gli apostoli. I loro nomi compaiono per la prima volta fra il V e VI secolo: Melchior, vecchio e canuto, Caspar, giovane e imberbe, e Balthasar, nero e barbuto.

Quel che è sorprendente di questo racconto di Bettini è il comprendere come l’iconografia del presepe sia frutto di racconti sedimentati e stratificati nel tempo. Non si tratta però solo di invenzioni del folclore, ma di dotti processi teologici. Non ci si pensa quando dalla cantina emergono le scatole con la cartapesta, le pecorelle e le statuine. “Una finzione fragile, per questo incantevole” scrive Bettini. E proprio per questo senza tempo. —

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