Nel mondo visionario di Escher ci sono Topolino e i Pink Floyd

A Palazzo Reale di Milano oltre duecento opere dell’artista divise in sei sezioni
Di Marina Mander

di MARINA MANDER

«. Il mio lavoro è un gioco, un gioco molto serio»: la frase di Maurits Cornelis Escher campeggia all'entrata della grande mostra allestita a Palazzo Reale fino al 22 gennaio 2017 e rappresenta uno dei tanti paradossi cari a un artista che del cortocircuito mentale ha saputo fare meraviglia e poetica. L'esibizione, curata da Marco Bussagli e Federico Giudiceandrea, il maggior collezionista europeo dell'artista olandese, dopo Roma, Bologna e Treviso e un successo da 580.000 visitatori, approda a Milano con più di 200 opere divise in sei sezioni a cui si aggiungono spazi ludico/didattici per far interagire lo spettatore e aiutarlo a comprendere esperenzialmente i concetti sottesi alle singole creazioni, la serietà, dunque, da leggere in filigrana, passato lo stupore.

La mostra stessa può essere raccontata attraverso un'immagine guida che si incontra all'inizio del percorso, esemplificata anche da una scultura di Luca Patella: il vaso fisiognomico di Rubin, una figura ambigua che appartiene al repertorio della psicologia della percezione cui molte delle ricerche di Escher fanno eco. Possiamo vedere un vaso o due profili ma il nostro cervello non può percepire le due cose simultaneamente. Possiamo concepire la mostra come un grande e ricco contenitore di sorprese, ammirare, oltre a opere famosissime come Giorno e Notte, Belvedere, Mano con sfera riflettente, Metamorphosis II, anche i lavori minori, cartoline, deliziosi ex libris, biglietti da visita, piccole incisioni di paesaggi e animali, taccuini di viaggio, una preziosa raccolta di emblemata.

Attraverso la molteplicità dei materiali possiamo ripercorrere le tappe dello sviluppo creativo di Escher e rintracciare i suoi legami con il liberty, con l'arte della secessione viennese, le influenze futuriste dell'aero-pittura o surrealiste, le reminiscenze barocche delle immagini aberranti, l'uso degli specchi convessi che trova un illustre antecedente nel "Ritratto dei coniugi Arnolfini" di Jan Van Eyck dipinto nel 1434.

Curiosando tra gli accostamenti, scopriamo un artista eclettico e colto, un genio divenuto pop che di pop, a ben vedere, aveva ben poco: l'esibizione ci presenta piuttosto la figura di un intellettuale, nato nel 1898 eppure dotato di un sentire da nobil signore del '700, cosmopolita, curioso, dedito al Grand Tour, capace di cogliere ancora, attraverso l'osservazione artistica ma anche naturalistica, quel sentimento di unità dell'universo prima della separazione degli ambiti - arte e scienza - avvenuta dal positivismo in poi, un uomo che sapeva leggere le segrete corrispondenze tra un blocco di salgemma, di fluorite o di aragonite e un'architettura del passato.

Ecco i due profili: quello dello studioso di matematica, fisica e cristallografia e quello del viaggiatore alla ricerca di nuovi stimoli per la sua arte. Escher che contaminando o anticipando formulazioni scientifiche, decripta l'ordine delle cose: l'esistenza dei frattali, ad esempio, figure geometriche caratterizzate dal ripetersi sino all'infinito di uno stesso motivo su scala sempre più ridotta codificati da Mandelbrot solo nel 1970, o i principi della Gestalt, sistematizzati negli anni '30 ed elaborati dall'artista con straordinario tempismo.

Escher che esplora l'Italia a più riprese, dal 1921 al 1935, «paese benedetto» dove trascorre alcuni anni, dove si sposa con la milanese Jetta, dove, perdendosi a contemplare paesaggi remoti e ad ascoltare voci di bambini, trova nuove fonti d'ispirazione: il Duomo di Atrani, la costiera amalfitana, una straordinaria prospettiva di San Pietro, Monreale, San Giminiano, scorci che continueranno a influenzare la sua immaginazione anche quando, a causa del clima politico sfavorevole dovuto all'inasprimento del fascismo, deciderà di trasferirsi in Svizzera.

Visionario e rigoroso, Escher crea un'estetica che non ha uguali, facile e difficile, al limite dell'estetizzante in alcuni casi, quando l'ossequio alle legge formali prende il sopravvento. Eppure, dalle geometriche tassellazioni ispirate ai mosaici moreschi dell'Alhambra che riproducono incastri periodici, nascono animali e mostri, uccelli e pesci, pessimisti e ottimisti, draghi e strane creature, sul nastro di Moebius si arrampicano indefesse formiche, la struttura del mondo magicamente si anima invitandoci a sgranare gli occhi di fronte a ciò che Magritte definì «il meraviglioso nelle pieghe della realtà».

E forse è proprio questo il motivo per cui le opere di Escher risuonano e si moltiplicano anche a 44 anni dalla sua morte, come ben documenta l'ultima sezione della mostra intitolata "Eschermania": da Labyrinth, il film dell'86 con David Bowie a Harry Potter, dalle cover dei Pink Floyd a un 45 giri dei Nomadi, dai fumetti di Topolino ai Simpson, dalla copertina delle Cosmicomiche di Calvino nell'edizione Einaudi del 1965 alle pubblicità Audi e Illy, fino all'installazione di Studio Azzurro Scale sognanti ispirata a Casa di scale che permette al visitatore di entrare fisicamente in un ambiente dalle prospettive spaziali sconvolte, le immagini di Escher continuano a proliferare, dentro e fuori a un'esposizione dove il tutto, indubbiamente, vale più della somma delle parti.

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