Nel bacio all'Hotel de Ville la poesia del quotidiano. Trieste ospita Doisneau

TRIESTE La più ampia retrospettiva mai realizzata in Italia sul grande fotografo Robert Doisneau (Gentilly, Val de Marne 1912 – Parigi 1994) e intitolata “Across the century”, è aperta da ieri a Trieste, al Magazzino delle Idee. Ottantotto scatti realizzati da un cronista eletto del quotidiano, con poesia.
Ottantotto immagini in bianco e nero selezionate dall’Atelier Doisneau, che ripercorrono l’intensa attività svolta dal 1929 al 1987 – attraverso la realizzazione di 450.000 negativi – da colui che venne definito il “ritrattista della felicità umana”. A partire dalla prima foto della sua vita, scattata appunto nel’29 e rappresentante delle pietre sul selciato, perché – ricorda l’autore – “ero troppo timido per posare lo sguardo sulle persone in carne e ossa”, all’ultima immagine, “La bicicletta nera”, risalente alla fine degli anni Ottanta, in cui sono, accanto a questo mezzo, ritratti una bambina e un uomo di colore.

La vita quotidiana, quella di periferia e di strada, ma anche quella mondana e degli ambienti della moda (abbandonati però questi ultimi due in seguito da Doisneau), i bambini, la realtà di Parigi, la ricostruzione della Francia dopo la seconda guerra mondiale, sono stati i suoi temi preferiti e sono tutti rappresentati in mostra. Con delle punte di diamante, come l’ultimo valzer danzato in strada da una giovane coppia, la sera del 14 luglio, festa nazionale francese, dal sapore sottilmente struggente; o l’intenso ritratto dedicato a Prévert, suo grande amico, a Picasso, Tati, Colette, Simenon, sodali da lui frequentati. Perché Doisenau era un artista e quello era il suo ambiente prediletto.

A comporre un amarcord molto interessante e in qualche momento toccante della società e della realtà francesi dopo il secondo conflitto mondiale. A raccontarla, durante la presentazione alla stampa, Anna Del Bianco, direttore di Erpac, Simona Cossu, coordinatrice organizzativa della rassegna, e Tessa Demichel dell’Agenzia diChroma photography di Madrid, che ha collaborato con l’Ente regionale per il patrimonio culturale del Friuli Venezia Giulia all’organizzazione dell’esposizione.

E, tra le molte immagini esposte, tra cui spunta una testa bovina tranciata e intitolata “L’innocente”, una splendida veduta dei mercati di Les Halles oppure la tragica testimonianza, chiamata “Le mani della siderurgia”, degli incidenti sul lavoro, non poteva mancare il famoso “Bacio dell’Hotel de Ville”, che rappresenta l’opera più nota di Doisneau e quella più riprodotta in assoluto nella storia della fotografia.
«In realtà però – come ha notato Demichel – questa foto non rappresenta veramente l’essenza di Doisneau, perché il vero fine del suo lavoro è stato quello di voler esprimere soprattutto l’umano, le piccole scene di tutti i giorni. E, naturalmente, ognuno di noi può dare la propria lettura delle sue immagini a seconda che vi si voglia ravvisare più melanconia o più gioia di vivere».
«E quindi – ha proseguito Demichel – oltre al bacio, ci sono tante altre fotografie, come per esempio quelle legate al tema dell’infanzia e delle altre, che corrispondono a dei cliché molto iconici. Come la fotografia che rappresenta dei bambini a scuola in classe, cioè in una situazione che tutti noi abbiamo vissuto». Perché in realtà Doisenau era uno di noi e ha voluto rimanere tale anche dopo essere divenuto importante. E l’aspetto tra i più interessanti, relativi alla sua attività sta proprio nel fatto che non c’è una lettura intellettuale della sua opera perché ognuno può leggerla a modo suo, a seconda del proprio spirito e del proprio stato d’animo.
Proposta in mostra quasi come un divertissement, ma di grande appeal comunicativo, è poi la serie dei provini, in cui spicca quello che racconta, quasi in uno spaccato simile a quello della casa delle bambole, gli interni di un edificio con i loro affittuari, collage umanissimo e non privo, come sovente accade in Doisenau, di una sottile ironia.
Ma, ritornando al celebre bacio che riprende due giovani che appunto si baciano tra la gente a Parigi, apprendiamo anche una curiosità: che i due innamorati erano in realtà dei figuranti che il grande fotografo volle ingaggiare proprio per ottenere l’effetto empatico che aveva in mente. E, a posteriori, non si può dire che il suo intuito abbia sbagliato. Ma, come spesso accade, molti cittadini credettero di riconoscersi in quella scena e iniziarono a chiedere del denaro. Non furono però accontentati perché l’autore aveva firmato un contratto con i due attori.
La rassegna, allestita con classe e misura, è impreziosita anche da un film documentario, intitolato “La lente delle meraviglie”: uscito nel 2017 per la regia di Clementine Deroudille, attraverso immagini inedite, rarissimi video e altri contributi, racconta la vita di Doisneau, divenuto, grazie alla sua determinazione, da ragazzo di periferia, una superstar della fotografia, cui furono attribuiti riconoscimenti importanti quali il premio Kodak, il Niépce, il Grand Prix nazionale della fotografia e il Balzac.
Nell’occasione è stato annunciato anche il prossimo appuntamento espositivo organizzato da Erpac al Magazzino delle Idee: i “Self – portrait di Vivian Maier” dal 6 luglio, a riconferma di un progetto culturale di qualità. —
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