Nei volti di McCurry le tragedie dell’oggi

SPILIMBERGO. La fotografia dell'esule afghana, divenuta copertina del “National Geographic” e resa famosa dai suoi occhi verdi determinati a sfidare le avversità della guerra, ha consacrato la popolarità del fotografo Steve McCurry. È in quello sguardo fiero e di grande dignità, «con cui ancora convivo - ammette McCurry - e che mi conforta per la forza che esprima, la perseveranza e il profondo ottimismo nel futuro», che si coglie l'unicità del tocco del fotografo di volti più famoso al mondo, del suo inimitabile talento, della sua umanità e della sua sensibilità attenta agli stimoli, alle situazioni, alle prospettive che accorciano distanze e prospettive, portando tutti nella tragicità di ciò che racconta.
Per l'impegno e il lavoro con cui ha raccontato «le nefande conseguenze della guerra attraverso i volti umani», il Craf di Spilimbergo ha premiato ieri al Teatro Cinema Miotto il maestro americano con l'International Award of Fotografy, giunto quest'anno alla ventunesima edizione.
Uno stile “inconsapevole” il suo, un «flusso diretto che non risponde a stilemi o calcoli intenzionali precisi, ma che ferma le regole della composizione fotografica in un'ispirazione», come lo definisce Biba Giacchetti, referente dell'Agenzia Sudest57 e curatrice della mostra “Steve McCurry: senza confini” alla Galleria Harry Bertoia di Pordenone fino al 12 giugno.
Nato in Pennsylvania nel 1950, dopo gli studi universitari decide di partire per l'India come fotografo freelance. La sua carriera decolla quando, poco prima dell'invasione russa, decide di attraversare il confine tra Pakistan ed Afghanistan travestito da mujahidin. Tornato con i rullini di pellicola cuciti tra i vestiti, documenta per la prima volta la cruda realtà di quel conflitto: «Ci sono momenti della vita - spiega - in cui bisogna assumersi dei rischi. La paura mi accompagnava sempre, ma volevo essere testimone di quegli eventi, raccontare quella storia».
Nessuno sapeva dove si trovasse o cosa fosse l'Afghanistan, ma lui ha capito immediatamente che «quello era il mio compito: rendere conoscibile l'inimmaginabile. Per farlo avevo la mia macchina». Le sue immagini pubblicate in tutto il mondo hanno vinto premi prestigiosi come la Robert Capa Gold Medal, il premio assegnato ai fotografi che si sono distinti per eccezionale coraggio, e dopo l'Afghanistan McCurry ha continuato a documentare i principali conflitti degli ultimi decenni, tra cui le guerre in Iran-Iraq, a Beirut, in Cambogia, nelle Filippine, in Afghanistan e la Guerra del Golfo.
La sua capacità di cogliere l'anima delle persone incontrate nelle città, nei paesi devastati dalle guerre, fatta di occhi, di volti, di istanti di vita, si ritrova intatta nella galleria di ritratti, dove egli si immerge in soggettiva, con tenacia e caparbia: «Se sai aspettare, le persone si dimenticano della tua macchina fotografica e la loro anima esce allo scoperto. Adempio al mio compito di documentazione del reale, di veicolo di informazione, racconto la realtà perché il mondo ne sia a conoscenza e abbia i mezzi per agire. Lo faccio con onestà, sincerità, rispetto». Ancora molto attivo con nuovi progetti, sta lavorando a un libro sull'Afghanistan che racchiuderà il suoi scatti e il lavoro che in quel martoriato Paese dura da 30 anni.
Francesca Pessotto
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