Nei sogni di Sergio Claudio Perroni l’amore convince quando diventa perdita

Non è la prima volta che Sergio Claudio Perroni si affaccia alla poesia. L’ha fatto per anni nel suo sito poetastri.com, lama e coltello della piccola nicchia poetica, dove pochi venivano salvati,...

Non è la prima volta che Sergio Claudio Perroni si affaccia alla poesia. L’ha fatto per anni nel suo sito poetastri.com, lama e coltello della piccola nicchia poetica, dove pochi venivano salvati, molti bistrattati. Trovate godibili, meno azzeccate quanto a critica. Ma la maggior parte non sospettava che l’artefice fosse lui stesso poeta, per cui il sito godeva di una certa attenzione, in fondo erano le riflessioni caustiche e divertenti di un romanziere. Invece ora scopriamo un Perroni poeta, tramite “Entro a volte nel tuo sonno” (La nave di Teseo, pag. 192, euro 12,00), raccolta di prose poetiche che compiono un tragitto particolare, votato a mettere in corrispondenza ciò che siamo e ciò che sembriamo. Sandro Veronesi, in postfazione, si sofferma sulla forma, tra prosa e poesia appunto. Oggi la prosa poetica è genere che va piuttosto di moda e certo Perroni non ignora la tecnica. Eppure alcuni “pezzi” (Veronesi), avrebbero acquistato più valore con il classico a capo. Alcuni testi godono di un’intonazione lirica poi spezzata dall’andamento narrativo, come per esempio “All’amico sessantenne”, resoconto scoraggiato di un’esistenza che senza difficoltà arriva fino alla nostra. Altri ancora come “Qualcosa di rotto” corrispondono alla forma scelta, alimentati come sono da terminologie più fredde, più empatiche con certo presente. Perroni è piuttosto frontale nei suoi dettati, quello che gli interessa è “l’assenza”, in altre parole il desiderio, non tanto quello amoroso, quanto l’eterna mancanza, il vuoto, la solitudine, la fine soprattutto, la capacità che hanno gli oggetti di sopravviverci. Andiamo avanti per brevi illuminazioni, come ci dice in “Sapere la strada”, e per quella sovranità del corpo che riesce a rendere materia pure l’anima. Ma di più trionfa il fatto che “Siamo roba che cade…”, incipit considerevole di “Gente a pioggia”. Insomma non è un libro esattamente ottimista, come mai lo sono i poeti, per quanto Perroni abbia cercato di riequilibrare lo scetticismo con l’amore. Lo fa con una serie di Madrigali che riducono l’estro diffidente della vita. Ma non a caso la parola più usata nelle prose amorose è “sogno” e non sono allo stesso livello degli altri componimenti. Più credibile l’amore quando si fa perdita, elemento di poetica piuttosto centrale. La perdita e la memoria della perdita, nonostante la forza di chi sappia che non si potrà “mai soffrire più di così”. Ed effettivamente, è intorno alla sottrazione che si fonda la nostra vita.

Mary Barbara Tolusso

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