Nei diari di Nijinsky il genio fuso con la sua schizofrenia

Valentina Maini è una scrittrice bolognese nata nel 1987, ha esordito nella narrativa con “La mischia”, edito da pochi mesi da Bollati Boringhieri. È un romanzo letterario, difficilmente catalogabile in un genere. Maini nel 2016 ha vinto il Premio Anna Osti con una precedente pubblicazione in versi, “La casa rotta”. Specializzata in Letterature comparate, è inoltre traduttrice dall’inglese e dal francese. Un’autrice che pare già una penna sicura, riesce a ideare una molteplicità di personaggi verticali, di ognuno esegue un’audace introspezione. Narra di famiglia, ma anche di libertà, ci porta dentro la storia, ma anche dentro la psicoanalisi. È una saga famigliare che evidenzia però l’unicità di ogni esperienza, i traumi, gli errori, la possibilità di riscattarsi. Il romanzo dimostra subito il suo virtuosismo stilistico, diversi capitoli sono abitati da una prosa poetica, a tratti lirica, per rientrare poi in uno stile più piano, mai banale, sempre alimentato da una voce personalissima. Maini infatti viene dalla poesia. Il suo consiglio: «Danzatore tra i più osannati d’Europa, Vaslav Nijinsky nei suoi “Diari” (Adelphi, traduzione Maurizia Calusio) sembra scrivere dal precipizio. Genio fragile assediato dalla follia, Nijinsky vi scolpisce il proprio ritratto storto, vitale, straziante, e nel mentre lo disfa, incarnandosi in personalità diverse, come a fondere se stesso con il mondo. E così Nijinsky è “il sentimento incarnato”, ma è anche “un toro”, “un filosofo che non pensa”, è “indiano, negro, cinese, giapponese”, è “Dio”. Una fluidità identitaria che svela e incrina la sua immagine di artista fuori dal comune, sempre più fuso con la sua schizofrenia, eppure vivo nel profondo sentire di tutti: “io vivo nella gente”. Un pubblico da cui teme di non essere capito, lui, uomo che ama tutti, ossessionato dal sentimento contro l’intelligenza che lo annienta. Ne scaturisce uno scritto nudo, fatto di sillogismi sghembi che affermano una realtà tragica, contradditoria. Un’opera viva da cui non solo gli amanti del balletto russo resteranno rapiti». —

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