Nancy Grahl, la ragazza di Trieste finita a New York per amore del librettista Da Ponte

TRiESTE La sua caratteristica principale? saper risorgere dalle proprie ceneri, come la mitologica araba fenice, cadere e rialzarsi, reinventandosi in continuazione, come insegnante di retorica e librettista d’opera, editore e droghiere, poeta e impresario. Lorenzo Da Ponte attraversa con ardimento la storia letteraria e musicale europea - quando un intellettuale per vivere doveva essere a servizio di qualcuno disposto a pagarlo - e del sogno americano, appena un abbozzo, a cavallo tra 700-800.
La sua immortalità è legata, certo, alla trilogia mozartiana, “Le nozze di Figaro”, “Don Giovanni” e “Così fan tutte”; però la svolta della sua vita avviene a Trieste nel 1792. Dove conosce, s’innamora, infine sposa, prima e ultima moglie, Nancy Grahl dopo una vita dissoluta dove lo scandalo minore che scuote la Serenissima è il “rapto di donna honesta”. Una rivoluzione convolare con una giovane donna dal volto “coperto d’un velo nero che m’impediva di vederla”, lo zendado, in quanto all’epoca, appunto, così fan tutte.
Nancy, inglese d’origine tedesca, brillante e avvenente, parla quattro lingue ed è figlia di facoltoso commerciante. Di origine ebraica come Da Ponte, nato Emanuele Conegliano a Cèneda, l’attuale Vittorio Veneto, prete, convertitosi assieme ai familiari al cattolicesimo, secondo l’uso aveva assunto a 14 anni il nome del vescovo che lo aveva battezzato. Nelle ‘Memorie’ racconterà del colpo di fulmine, lui ha superato la quarantina, che gli dà la scossa necessaria a mettere la testa a posto, per sposare il 12 agosto nella sinagoga, perché per chi si ama Dio è ecumenico, l’anglicana Ann Celestine, detta Nancy, di vent’anni più giovane - futura madre dei sei figli, a contare quelli legittimi.
Ma come poteva Da Ponte, che bazzicava le corti reali e le scintillanti società europee saltando di capitale in capitale, che aveva collaborato con i maggiori musicisti in voga - tra cui Salieri, ben più stimato di Mozart, Paisiello, Cimarosa e Martin y Soler - vivere della sua creatività a Trieste? Infatti non era possibile. Da Ponte aveva subito tracolli e tradimenti a causa degli intrighi di palazzo, e nel 1791, morti l’imperatore Giuseppe II e Mozart, perse l’appoggio del successore Leopoldo II, in clima di tagli alla cultura. La mazzata finale fu inferta dalla tenzone a colpi di soprano - Catharina Cavalieri amante di Salieri “povero ciabattino drammatico” e la sua, Adriana Gabrieli detta la Ferrarese. E dovette rinunciare ai fasti di Vienna. Scapestrato lo sarà anche stato, ma non canaglia come l’amico Casanova che in seguito, quando Da Ponte dall’Inghilterra gli scrive dell’ennesima bancarotta, gli suggerisce che Nancy sfrutti il suo fascino.
Modestamente Nancy a Londra, dove ripiegano causa rivoluzione in corso a Parigi, apre un’elegante sala da caffè nel teatro dell’opera, mentre lui taglia, rattoppa e revisiona libretti di altri, mai domo. Il talento è la rotaia su cui corre l’intrepidezza, e Da Ponte diventa un importante editore, gestisce il King’s Theatre applicandosi alla risoluzione della quadratura del cerchio: mettere in piedi una compagnia italiana senza uno straccio di capitale. Come poeta è tenuto in palmo di mano, come impresario inanella fallimenti e creditori.
Dopo circa un decennio vissuto sul filo del rasoio, nel 1805 è pronto a ricominciare e accetta l’invito della suocera a trasferirsi a New York preceduto da Nancy e quattro figli.
“Immagina come devo aver riso di me stesso” scrive “ogni volta che la mia mano di poeta veniva chiamata a pesare due once di tè, o di misurare mezzo metro di tabacco, ora per un calzolaio, ora per un carrettiere, o versare, in cambio di 3 centesimi un dramma mattutino”. Usando i risparmi di Nancy, il quasi sessantenne Da Ponte, intraprende due disastrose iniziative, prima come droghiere nel New Jersey, poi come commerciante di medicinali e merchandising in Pennsylvania.
Meno male che l’America è l’altro nome delle opportunità, che si incarnano in Clemente Moore, incontrato in una libreria di New York, un giovane colto di influente famiglia.
Anche se la reputazione di commerciante fallito nel pragmatico Nuovo Mondo offusca quella di uomo di cultura, Da Ponte, negli ultimi undici anni della sua vita ritornò alle amate lettere e divenne a 76 il primo professore d’italiano che “qui è conosciuto quanto il turco o il cinese”, della Columbia University. Sempre vivificato dal suo spirito polemico di libertino, scrive per amor di patria “Dante Alighieri” e “Sull’Italia”, e riesce nel contempo a far approdare nella zotica New York una celeberrima compagnia italiana di canto: quella di Manuel Garcia con la figlia Maria Malibran. Il Park Theatre assiste attonito al “Barbiere di Siviglia” di Rossini.
Nancy era morta a 63 anni, Da Ponte divenne una pietra miliare degli studi italiani negli Stati Uniti, dove visse più a lungo che in qualsiasi altro Paese, anche se s’infuria: “Sono passati 18 mesi da che non ho più un solo allievo! Io! Il creator della lingua italiana in America, che l’insegnò a più di 2 mila persone! Io! Il poeta di Giuseppe II, lo scrittore di 36 drammi, l’anima di Salieri, di Weigl, di Martini, di Winter e di Mozart! Io! Vicino ai 90! Non ho più pane in America!”. Era l’ondata di italiani emigrati, aspiranti insegnanti che avevano sparso in giro il venticello (anche) della calunnia. Ciò non toglie che si spense serenamente nel 1838 benedicendo, come si conviene a un ex prete, figli e allievi dal suo letto. E fu sepolto non a Vienna, non a Venezia, ma New York, o Nuova Jorka, come la chiamava Da Ponte, da italianissimo americano. —
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