Mussolini, il figlio del secolo che usò il popolo come arma per una dittatura inattesa

Antonio Scurati con il suo “M. il figlio del secolo”, edito da Bompiani (pagg. 840, Euro 24, 00), ha voluto narrare la storia d’Italia dal primo dopoguerra alla nascita della dittatura fascista,...
Benito Mussolini (1883 – 28 April 1945) Italian politician, journalist, and leader of the National Fascist Party as Prime Minister 1922
Benito Mussolini (1883 – 28 April 1945) Italian politician, journalist, and leader of the National Fascist Party as Prime Minister 1922



Antonio Scurati con il suo “M. il figlio del secolo”, edito da Bompiani (pagg. 840, Euro 24, 00), ha voluto narrare la storia d’Italia dal primo dopoguerra alla nascita della dittatura fascista, insistendo, più che sulle ideologie in campo, sulle persone che in quegli anni occupavano rumorosamente la scena. Di tutti coloro che, amici o rivali, si relazionarono a Mussolini, veniamo a conoscere infanzia, giovinezza, idiosincrasie, vanità, amori, simpatie o antipatie tali da far loro assumere ruoli diversi: Filippo Turati, Giacomo Matteotti, Nicola Bombacci e i socialisti avversari, Roberto Farinacci, Leandro Arpinati, Dino Grandi e i fascisti compagni, Margherita Sarfatti e Rachele Guidi Mussolini, due delle sue donne, entrano come personaggi di un poderoso romanzo in cui alla fantasia poco spazio è lasciato. Tutti i particolari, dalle sedi di partito e dei giornali ai dettagli minimi sono accuratamente documentati, come le ghette bianche che prima di diventare il duce d’Italia Mussolini portava per nascondere le sue scarpe rotte o i mocassini di camoscio bianco che Matteotti indossava il giorno del suo assassinio. La storia, così ricostruita, rivela come le scelte fatte dagli attori di quel periodo siano state frutto non solo di logiche istituzionali, ma anche di impulsi istintivi, non solo di progetti meditati ma anche di circostanze occasionali.



La tesi, annunciata già nel titolo, è che M, figlio di un fabbro, sia riuscito a riscattare la sua condizione sociale, sfruttando a suo vantaggio la novità introdotta dal decollo industriale e confermata dalla Grande Guerra, ovvero l’entrata delle masse nella storia. L’autore fa dunque muovere il suo complesso disegno narrativo sullo sfondo di una dinamica socio-politica in mutamento continuo: l’arrivo alla ribalta politica del cosiddetto “popolo”, con le sue rappresentanze politiche e sindacali, ha così trasformato il significato del termine da comunità inerte a soggetto dotato di coesione e volontà di scelta. Dai suoi umori può sprigionarsi una forza che può non essere mediata da analisi politiche, perché viene direttamente dalla strada, forte al punto da dover essere tenuta in conto da chi aspira a governare. La Grande guerra, che per la prima volta aveva coinvolto non solo gli eserciti ma folle contadine e operaie, aveva lasciato sul campo una moltitudine d’insoddisfatti, pronti ad ogni avventura. Quel conflitto aveva dunque spezzato la catena paziente dei padri, che per secoli avevano generato i figli a propria immagine, facendoli proseguire lungo il cammino segnato dalla classe sociale di provenienza. Con l’affermazione dei valori borghesi, che permettevano di aspirare a radicali mutamenti sociali, e con la loro diffusione in una collettività allargata quanto mai prima, era cresciuta una generazione che aveva rotti gli schemi, conquistandosi il diritto di fare la storia.



Da parte sua Mussolini, schizofrenico e narcisista, genio e macchietta, fiutò la stanchezza diffusa per una casta politica inconcludente e nel 1919 riunì chi voleva provare altri percorsi per cambiare, avventurieri che lo seguirono facilmente nelle sue giravolte politiche, e “puri”, che in molti casi si trovò successivamente contro. Fondò un movimento, i Fasci italiani di combattimento, che rifuggivano da ogni impostazione teorica, preferendo esibire la loro presenza sul territorio attraverso l’azione anche violenta che giustificava ogni logica. E non ricusò il sostegno degli Arditi, nati come corpo scelto dalla grande guerra, senza scrupoli nel terrorizzare ed eliminare gli avversari. Antipartitico per definizione, quel movimento, trasformatosi da rivoluzionario a conservatore, divenne poi il partito fascista, ma attraverso un’evoluzione assolutamente non lineare, anzi, più volte sul punto di incepparsi rovinosamente. Grande amatore, e legato alla famiglia, incerto tra carriera letteraria e affermazione politica, ancorato al suo passato socialista e deciso ad annientarne l’opposizione, fin da questi anni M è l’emblema di una doppiezza rafforzata da un uso sapiente della retorica e della gestualità: senza avvertire disagio alcuno, poteva dire tutto e il contrario di tutto, entrando in sintonia perfetta con il nuovo soggetto storico, il popolo, camaleontico come lui.



E così ha cercato sempre di scansare le proprie responsabilità, accusando dei delitti i suoi collaboratori più fidi, non solo per salvarsi, ma anche per rialzare la posta. Ceti egemoni, media e piccola borghesia, proletariato, qualsiasi fosse il loro credo politico, vennero alternativamente atterriti e rassicurati: l’azione violenta degli Arditi venne infatti più volte da lui ripudiata, soprattutto quando capì che avrebbe potuto, coinvolgendo anche la monarchia, integrarsi da padrone in quelle istituzioni che all’inizio aveva contestato. Il suo credo era trattare, minacciare, ingannare. Trattare con tutti, tradire tutti. Scurati ricostruisce il periodo che va dal 1919 all’inizio del 1925 attraverso sequenze narrative in progressione cronologica, secondo una prospettiva d’indagine coraggiosa: adotta la prospettiva del fascismo per far capire come si sia potuta sviluppare quella parabola della nostra nazione. L’intento non è agiografico, ma volto a rifondare l’antifascismo al di fuori dei meri preconcetti ideologici. Si vede, nel montaggio narrativo, come i passaggi verso la dittatura siano stati impercettibili, non programmati, tanto che neppure la classe dei colti se ne era accorta.

A parte D’Annunzio, cui sono dedicati molti capitoli sul suo rapporto ondivago con l’amico e rivale Mussolini, Giuseppe Ungaretti, Luigi Pirandello o Benedetto Croce non si resero conto della deriva che stava prendendo lo Stato italiano. Se ne accorsero invece i fascisti, divisi al loro interno, critici verso l’uomo colpevole di aver tradito lo spirito rivoluzionario originale per porsi al vertice di un apparato statale burocratico e conservatore. E la narrazione letteraria permette da una parte di condannare il politico, dall’altra di valutare la solitudine di un uomo, che può avere tutte le donne che vuole, ma che non può permettersi un amico. E mostra come sia possibile che, mentre progetta azioni indegne, il figlio di un secolo che cede alla vita bassa di una classe ebbra di vendetta lasci affiorare il ricordo di antichi amicali rapporti con quelli che poi divennero nemici. Così con Pietro Nenni, che ha tenuto in braccio la piccola Edda, suo compagno di cella nella lotta contro la guerra imperialista e fondatore del primo Fascio di combattimento di Bologna. Nenni applaudì alla devastazione dell’”Avanti” ma due anni dopo accorse in difesa di quel giornale durante il secondo assalto fascista, passando da repubblicano simpatizzante a socialista.



Nell’attesa di scrivere il seguito della storia, Scurati abbandona il suo personaggio nel momento del trionfo, ovviamente gravido di conseguenze tragiche. Nel discorso in cui di fatto si addossa tutta la responsabilità politica, morale e storica di quanto è accaduto, mentre le opposizioni tacciono e i suoi lo acclamano, capisce che quando i due elementi sono in lotta e sono irriducibili, la soluzione è la forza, come è sempre stato nella storia. Il figlio del secolo, di fronte all’incomprensione degli altri, al loro patetico e inerte disappunto, si è così presa, lui solo, la croce del potere. —



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