Moresnet il non-luogo paese nato per sbaglio dove sognare la libertà tra cabaret e malaffare

In “Terra di nessuno” (Keller) Philip Droge racconta la storia di un micro-stato tra Olanda, Belgio e Germania



Prostitute, contrabbando, rifugio per banditi in fuga, lavoro minorile. Il tutto a pochi passi da tre frontiere: tedesca, belga, olandese. Uno stato-canaglia nel cuore dell’Europa che per un secolo ha tenuto in scacco le diplomazie europee. Quelle stesse che, con macroscopico errore, lo avevano creato. Ma anche uno schiaffo all'autorità, uno strappo nell'ordine, un insulto ai potenti. Benvenuti nel Territorio indiviso di Moresnet.

In un vecchio atlante o sullo schermo di Google Earth si può individuare una piccola appendice di territorio olandese che, seguendo il corso della Mosa, si infila tra Belgio e Germania. Qui si trova Maastricht ma, per ironia della sorte, a pochi chilometri dalla culla della Comunità Europea c’è il comune di Moresnet, 3,4 km quadrati ora in territorio belga, che è stato per circa un secolo l’esempio della più incredibile storia di resistenza a diventare parte di qualunque entità amministrativa. Dal 1816 al 1919 questo microscopico Davide neutrale, disarmato e parecchio illegale, si è trovato in una nicchia dorata in mezzo ai giganteschi Golia vicini di casa. La nascita del Territorio indiviso di Moresnet, come è stato battezzato, è dovuta a un clamoroso errore delle diplomazie europee che a Vienna, nello scrivere il trattato di pace della Restaurazione che ridisegnava i confini degli stati dopo la liquidazione di Napoleone, si ‘dimenticarono’ tra le pieghe degli articoli questo lembo di terra. L'epopea di questo reale non-luogo è stata raccontata da Philip Droge in 'Terra di nessuno' (Keller, pagg. 284, euro 17,50). Droge, olandese di Groningen, giornalista autore di libri storici e divulgatore scientifico, non nasconde la sua simpatia per quello che l’esistenza di Moresnet ha rappresentato. In un mondo in cui la politica degli stati nazionali si batteva per il possesso di ogni centimetro quadrato di terra e poneva la bandiera e le insegne dei suoi sovrani sul più piccolo scoglio dei mari più lontani, arrivando fino a battezzare i ghiacci dei poli, a Moresnet per una volta aveva vinto l'anarchia, nel senso letterale del termine. “Abbiamo la fortuna di non essere governati affatto”, aveva affermato uno dei suoi sindaci “spero, per il benessere degli abitanti, che questo stato di cose perduri”.

Un solo gendarme a far rispettare l’ordine pubblico, ma soprattutto una miniera di zinco a dar lavoro alla maggior parte dei quattromila abitanti. E chi non lavorava in miniera, dove si contavano anche molti bambini, apriva una taverna o un cabaret. Contando sul prezzo stracciato dei liquori si poteva lucrare sull’attività di contrabbando, portando nei telai delle biciclette, furbescamente modificati in serbatoi, litri di jenever, un bruciabudella da pochi soldi. Contrabbando, prostituzione e malavita; nelle locande di Kelmis (ecco un’altra bizzarria della vicenda: la Moresnet che dava il nome al Territorio si trovava in Belgio, mentre l’abitato di Kelmis era il cuore del non-stato) trovavano rifugio diversi ricercati dalle polizie di Germania, Belgio e Olanda, tanto da farla assomigliare a quelle bootown americane venute su freneticamente ai tempi della caccia all’oro. Moresnet come una malattia autoimmune della politica. I suoi stessi strumenti per spartirsi il dominio del mondo si sono rivoltati contro. Le norme, i cavilli escogitati nel gran bazar geopolitico del Congresso di Vienna si ingarbugliarono a tal punto che per districarne il nodo ci vollero cento anni e diverse altre guerre. Ma Moresnet non fu solo un interludio un po’ folle e un po’ paraculo nella rigida disciplina dei cartografi al servizio dei governi. Qualcuno ci vide il seme di un ideale. Furono quei sognatori degli esperantisti. Perché non fare di Moresnet il primo non-stato in cui si parlasse la lingua inventata da Zamenhof? Era un po’ troppo, e l’imbuto della Grande Guerra assorbì i sogni e l’epopea di Moresnet. —



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