Monica Acito: «Tik Tok non è un male se serve a far leggere i ragazzi»

La scrittrice giovedì al Magazzino delle Idee con “Uvaspina”

Incontri anche con Ervas, Salvioni e Vojnovi\u0107

Paolo Marcolin
Monica Acito
Monica Acito

In questi giorni sta rileggendo il sabiano Canzoniere per prepararsi a conoscere Trieste, o meglio a riconoscerla visto che l’ha già visitata quando era bambina e di cui ricorda il castello di Sissi, come chiama lei Miramare. Non è passato molto tempo da allora per la trentenne Monica Acito, che sarà giovedì alle 18.15 al Magazzino delle Idee a presentare il suo primo libro, “Uvaspina” (Bompiani), all’interno della rassegna ”Un mare di racconti”, che a partire dalle 16.30 vedrà sfilare anche Fulvio Ervas che presenterà “La giustizia non è una pallottola” (Marcos y Marcos), Beatrice Salvioni con “La malnata” (Einaudi) e Goran Vojnović che parlerà del suo “All’ombra del fico” (Keller).

Trieste, confida Acito con la voce rotta da una fastidiosa influenza, è una città l’ha sempre molto affascinata, anche grazie a come l’ha sentita descrivere da Federica Manzon.

Della letteratura triestina cosa conosce?

«Mi piace molto la figura di Roberto Bazlen, che ho ritrovato nei miei studi di filologia moderna. La letteratura triestina la sento diversa ma complementare a quella cui sono abituata e mi piacerebbe esplorare questo continente letterario».

Lei ha dichiarato il suo amore per la letteratura sudamericana e per Gabriel Garcia Marquez in particolare.

«Mi sono fatta un tatuaggio con la scritta Remedios, un omaggio a tutte le Remedios citate in Cent’anni di solitudine. Per me è l’emblema della letteratura sudamericana. Remedios rappresenta la chiaroveggenza della letteratura».

‘Uvaspina’ è il suo primo libro. Colpisce per la sua lingua particolare, barocca, un pastiche tra italiano e dialetto.

«Gli scrittori sono tali se riescono a inventarsi una lingua e io ho cercato di farlo; non mi sono limitata a scrivere in italiano con inserzioni dialettali, ma ho cercato di creare un clima linguistico in cui ho inserito italiano standard, italiano regionale, lingua napoletana, italiano lirico e italiano sguaiato».

Nel libro i fratelli Uvaspina e Minuccia agitano le loro passioni in una Napoli al confine tra storia e mito.

«Uvaspina è il mio criaturiello, lo chiamo così perché l’ho creato io. Porta il nome di un frutto che viene spremuto per guarire i malanni degli altri perché lui nella vita si è sempre ritrovato a essere spremuto, dai compagni di classe che lo chiamano femminiello ma soprattutto dalla sorella Minuccia».

Lei, che è originaria del Cilento, insegna a Torino, alle scuole medie. Si tende a dire che i ragazzi sono attratti solo dai social e poco dalla lettura.

«I ragazzi sono molto attratti dai social ma anche gli adulti lo sono, anzi sono loro i primi a passare i giorni a sproloquiare su Facebook o a creare storie su Instagram o su Tik Tok. Nella mia esperienza di insegnante ho notato che i ragazzi leggono i libri pubblicizzati su Tik Tok. L’anno scorso i miei alunni si erano appassionati a ‘La canzone di Achille’ di Madeline Miller che era stato pubblicizzato su Tik Tok. Non ci vedo nulla di male se questo è un modo per farli appassionare alla lettura. In questo modo l’insegnante può trovare un terreno fertile per proporre i classici o altri libri e poter creare un discorso comune».

Lei ha frequentato la scuola Holden di Alessandro Baricco e adesso vi insegna. La consiglierebbe a chi vuole fare lo scrittore?

«Sì, è un modo per interfacciarsi con dei professionisti e per capire i propri limiti. La consiglierei al di là della retorica e delle persone che dicono che alla Holden ti mettono un microchip per farti scrivere in serie. Non è vero, basta leggere il mio libro, non mi pare assomigli a qualcun altro. Semplicente nel mio caso alla Holden ho conosciuto Andrea Tarabbia che mi ha aiutata a prendermi cura delle mie anomalie, ma non mi ha mai detto scrivi in questo modo. Alla Holden nessuno ti insegna a scrivere, devi già saperlo fare, ma ti insegnano a vedere i tuoi punti di forza e quelli di debolezza».

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