Mogol: «Battisti? Senza chance in questi talent show che non hanno cultura»

Il grande scrittore di canzoni ospite a Trieste domenica 27 con “Il mio canto libero” al Teatro Rossetti
Udine 06 dicembre 2013 mogol Copyright Petrussi Foto TURCO
Udine 06 dicembre 2013 mogol Copyright Petrussi Foto TURCO

TRIESTE Un ospite d'eccezione per “Canto libero, Omaggio alle canzoni di Battisti e Mogol”, produzione Good Vibrations in scena il 27 dicembre alle 17 al Politeama Rossetti di Trieste. In sala ci sarà Giulio Rapetti Mogol, l'autore che assieme a Lucio Battisti ha firmato alcune della pagine più memorabili e amate della letteratura musicale italiana. Tanto che, quando si parla di una coppia di artisti come quella composta da Battisti e Mogol, chiamarla musica leggera sarebbe davvero riduttivo.

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Mogol, che ha festeggiato 50 anni di successi, è senza dubbio il più importante autore italiano di testi di canzoni. Anche se ricordato principalmente per il lungo e fortunato sodalizio con Battisti, il suo contributo alla cultura italiana attraverso la musica pop è stato notevolissimo: dai primi anni '60 a tutt’oggi, vanta oltre 1500 canzoni pubblicate e grandissime collaborazioni. Dal primo Sanremo vinto con la sua “Al di là” da Luciano Tajoli fino alla più recente “L'emozione non ha voce”, hit di Adriano Celentano.

Mogol è, inoltre, l'unico autore ad avere un premio che porta il suo nome, dedicato ai migliori testi di canzoni pop.

«La cultura popolare – spiega Mogol - è il bene più grande ed è evolutivo: un popolo dipende dal livello della cultura popolare che ha».

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Che ricordi ha di Trieste?

«Ci sono stato un paio di volte: anche se non ho mai avuto rapporti particolarmente stretti e i miei sono stati solo incontri di passaggio, è una bellissima città, piena di bella gente».

In cosa consisterà la sua partecipazione?

«Sarò ospite della serata e risponderò a delle domande sulla creatività e sulla possibilità di ognuno di diventare creativo, di utilizzare quel talento di cui tutti parlano senza rendersi conto che il talento è latente in ogni persona e va coltivato. Il genio è un'altra cosa. Capita a una persona su 20 milioni, è un qualcosa che si rivela fin da bambini. Non ha basi: è un regalo del Signore. Il talento invece abbiamo tutti la possibilità di coltivarlo. È una verità che si nega per privilegiare l'aspetto romantico, che ha finito per avere il sopravvento anche perché la tivù tende ad alimentare questa “bufala”».

Battisti era un genio?

«Non so se lo fosse, perché, come dicevo, il genio si rivela da piccolissimi. Di sicuro Battisti è stato uno straordinario coltivatore del proprio talento. Alla fine, talento e genio non sono molto diversi: chi coltiva il proprio talento in modo straordinario può arrivare agli stessi livelli di chi possiede questo dono e ottenere risultati eccezionali. Solo che qualcuno non necessita di preparazione, mentre altri hanno bisogno di studiare e acculturarsi».

Battisti rappresenta un fenomeno intergenerazionale: perché è così speciale e ancora così amato?

«La risposta sta nella sua attualità. Lucio scriveva canzoni che avevano in sé una melodia molto spesso napoletana e un arrangiamento di carattere anglosassone: ha fuso due culture, quella della romanza - e la melodia napoletana è sempre stata di grande classe e musicalità – e quella anglosassone. Ha saputo unire insomma la vena melodica a un accompagnamento moderno e internazionale. E poi nei miei testi ho fatto sempre riferimento alla vita. Non ho mai cercato discorsi modernisti o aulici, ma di riferirmi sempre al quotidiano, parlando dei sentimenti in modo sincero. E questo rimane. I sentimenti non cambiano, così come non cambiano le paure, né tutto quello che è lì per emozionare. Se uno si attiene ai fatti della vita rimane sempre d'attualità. A questa attualità ha contribuito anche il suo modo di cantare: allora non fu considerato, perché lui interpretava invece di cantare, ma poi, ad esempio con Bob Dylan, è diventato un modo di comunicare. Non si cercava più il do di petto, la cosa importante era emozionare. E Lucio lo faceva».

In un talent show, Battisti avrebbe mai avuto possibilità di emergere?

«Non credo: né io né lui oggi avremmo avuto grandi chance... Quello che si ricerca oggi non fa parte del mondo in cui abbiamo vissuto e creduto: lui cercava di essere più vicino alla vita reale, di essere credibile, che è la cosa più importante. Il problema dei talent sono la mancanza di cultura e di competenza: non si può fare la presentatrice oggi e il docente domani. Il pop è una cosa seria, nella seconda metà del XX secolo è arrivato a livelli straordinari nel mondo. Cercare star non ha senso: i talenti si costruiscono».

Magari creando una scuola...

«Noi abbiamo creato una scuola (il Centro Europeo di Toscolano, ndr.) di grande livello internazionale e i nostri allievi quando ne hanno la possiblità dimostrano di essere capaci, vedi Arisa e Giuseppe Anastasi. Attraverso la scuola vengono offerte delle borse di studio a giovani che andiamo a selezionare, ma sono le regioni che le propongono. Basilicata e Calabria hanno molto a cuore la formazione dei giovani artisti, sia interpreti che autori, altre invece gli ignorano. In certe regioni non siamo mai andati: tra gli amministratori c'è chi è sensibile alla cultura e ai giovani e chi no».

L'alchimia tra le sue parole e la musica di Battisti si è mai ricreata con altri grandi artisti con cui ha poi lavorato?

«Mango era un fuori quota: ho scritto per lui un sacco di canzoni (“Oro”, “Monnalisa”, “Nella mia città”), tutte diventate grandi successi. La voce di Pino era magica, indimenticabile. E poi Gianni Bella, uno dei più grandi compositori al mondo, ma anche Riccardo Cocciante, Tony Renis, Mario Lavezzi. Ho scritto per tutti e il sistema non cambia. Con Battisti c'è stata la fortuna di avere un autore che era anche interprete, un compositore molto capace di interpretare. Ma questo è successo anche con Mango».

È stato fondatore della Nazionale Italiana Cantanti e opera da sempre per la solidarietà. Alla luce dei fatti di Parigi, pensa che la musica possa mandare un messaggio di pace?

«Ho fondato la scuola 24 anni fa e ci ho messo tutto quello che avevo: abbiamo diplomato 2500 allievi, operiamo a livello internazionale, teniamo lezioni ovunque: siamo stati in Kazakistan e lavoreremo in Polonia. Ho fatto e faccio questo per il mio Paese, perché che la cultura popolare di livello è il più grande regalo che si possa fare. Ho cercato di creare nuovi artisti e lavoriamo ancora in questo senso. Mi spiace solo che le possibilità di promozione non siano più così tante. La mia era una missione e l'ho portata avanti: sono soddisfatto e continuerò finché posso».

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