“Mi no firmo” oggi al Lunatico Festival. L’eredità di Basaglia nel teatro della follia

Uno spettacolo e una trasmissione radiofonica ricordano il legame tra psichiatria e rappresentazione scenica

TRIESTE Oltre che un documento, quell'immagine del febbraio '73 è un emblema. Guardiamola con attenzione.

Nella fotografia scattata allora da Neva Gasparo si riconosce Franco Basaglia. Ha sollevato una panchina e con un movimento un po' teatrale, la usa come un ariete. Bisogna sfondare la recinzione del reparto P, uno dei padiglioni del manicomio di San Giovanni. Si tratta di far uscire, in quella fredda giornata di sole, il cavallo di cartapesta che là dietro attende e scalpita impaziente. La prima uscita di Marco Cavallo porterà fin sul colle di San Giusto tutti coloro che, dentro al manicomio, lo hanno immaginato, costruito e dipinto di uno straordinario colore azzurro.

Ci vorranno ancora cinque anni - il 1978 - affinché la Legge 180 riconosca che tanti altri cancelli, tante altre istituzioni psichiatriche vanno sfondate. Ma intanto il teatro ha fatto da apripista.

Di quel che successe allora tra psichiatria e teatro, e anche di quel che succede oggi, si parlerà giovedì nella quinta puntata di "Basaglia Live", trasmissione radiofonica di Carlo Muscatello (ogni giovedì, alle 11.55, Radio Rai Fvg). La trasmissione corre parallela alle iniziative di Lunatico Festival, che si svolge negli stessi luoghi, a San Giovanni, ancora per tutto agosto, con musica, incontri, teatro dal vivo, e con lo spettacolo "Mi no firmo" (oggi alle 20.30), in cui Claudio Misculin e i suoi attori ripercorrono tutti questi decenni di "follia teatrale".

Perché l'avventura di Marco Cavallo (raccontata in numerose occasioni da Giuliano Scabia, che con l'amico pittore Vittorio Basaglia, lo inventò) non è stato solo un episodio nella storia della psichiatria e della percezione della malattia mentale. È stata anche uno dei primi momenti in cui il teatro, in Italia, ha cominciato a manifestarsi fuori dei teatri. È stata la sua uscita dai recinti, il rifiuto della prosa, l'apertura a un panorama di problemi più vasto, decisamente più urgenti dei pur rispettabili tormenti del giovane principe Amleto. A 45 anni di distanza le cose sono cambiate. Oggi il teatro non sembra occuparsi più di chi vive il disagio della malattia mentale, la reclusione in carcere, la condizione di rifugiato, di chi si percepisce minoranza.

Qualcosa però rimane. Ed è frutto di quella stagione, inaugurata da Basaglia, da Scabia, da giovani artisti e gruppi che aderirono allora alle loro proposte: il Centro d'espressione teatrale "Il cantiere", per esempio. O il Teatro Studio di Claudio Misculin e Maurizio Soldà.

Misculin continua oggi il suo percorso con le attività dell'Accademia della Follia: un lungo percorso d'arte non imbrigliata, raccontato in un film Anush Hamzehian (2015) e in numerose pubblicazioni. Del gruppo "Il cantiere", Andreina Garella non ha tradito il mandato di quel "teatro sociale". Ora lavora in Emilia, dove assieme a Mario Fontanini ha fondato "Festina Lente Teatro". Una loro recente iniziativa, lo spettacolo "La vita fragile", pieno della stessa forza che accompagnava le uscite di Marco Cavallo, ha mobilitato alcune settimane fa la Cavallerizza di Reggio Emilia, su proposta del Dipartimento di salute mentale di quella provincia. E ha restituito alla gente gli allegri suoni di banda, le storie di inclusione, il diritto a essere diversi ma uguali, che molti di noi avevano dimenticato. —




 

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