Mereghetti: «Sempre sia lodata la critica»

A Trieste presenta domani il suo “Dizionario dei film 2017” e la pellicola di Pablo Larraín “Neruda”
Di Beatrice Fiorentino

Doppio appuntamento con Paolo Mereghetti, firma autorevole del “Corriere della Sera”, “Io Donna” e “Ciak”, che sarà a Trieste domani, alle 17.30 nella sede della Mediateca in via Roma 19, per presentare il nuovissimo “Dizionario dei film 2017” edito dalla Baldini & Castoldi. Giunto alla sua undicesima revisione, il doppio volume è stato ampliato e rivisto, arrivando a contenere la cifra record di 30mila schede, il triplo rispetto alla prima edizione del 1993. In serata, poi, alle 21, il critico milanese raggiungerà il Cinema Ariston per introdurre la proiezione di "Neruda", il film di Pablo Larraín incentrato sulla figura del celebre scrittore cileno e proclamato "Film della Critica 2016" dall'apposita commissione del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani di cui Mereghetti fa parte.

Quali sono le novità introdotte nella nuova edizione del Dizionario?

«È un'edizione di cui sono particolarmente soddisfatto. In primis per l'aver introdotto molte schede di film non necessariamente usciti al cinema, definizione che col passare del tempo e il mutare delle abitudini di fruizione ha perso di senso. Ormai i film si vedono in streaming, sui canali satellitari e in dvd escono titoli che non sono mai distribuiti al cinema. Abbiamo cercato di adeguarci e seguire questi percorsi di visione anche fuori dalla sala. Abbiamo anche colmato alcune lacune, inserendo film degli anni '20, '30 o '40 che non erano stati schedati in passato. Grazie ai restauri e ai dvd il patrimonio cinematografico sta aumentando e possiamo recuperare titoli invisibili fino a poco tempo fa. Oltre a integrare le schede, ne abbiamo anche riscritte molte».

Con che criterio sono state riscritte le schede soggette a "revisione"?

«Alcune mi sembravano troppo "striminzite". Col passare del tempo mi sono accorto che un riassunto dettagliato aiuta molto se il film non lo si vede da parecchio tempo. Ma in certi casi anche il giudizio complessivo sul film è stato riconsiderato a mente fredda e col senno di poi. Il primo dizionario è del 1993, ovviamente gli anni Ottanta erano lì che urgevano e sono stati anni molto complessi. C'è stato il postmoderno, ci sono state ubriacature ma anche rigetti violentissimi e, nonostante lo sforzo di rimanere oggettivi, alcune schede ne hanno pagato le conseguenze».

Qualche esempio?

«I film di Brian De Palma, per dirne uno. "Vestito per uccidere", "Scarface", rivalutati e inseriti tra i "quattro stelle". Ma anche Carpenter o Cukor. Ce ne sono diversi. Sono anche molto contento di aver inserito i film di Kinoshita, titoli che non sono mai usciti in Italia come "Ventiquattro occhi", la prima edizione de "La leggenda di Narayama", "Il fiume Fuefuki", che magari non sono facili da reperire però sono fondamentali per offrire un percorso esaustivo della storia del cinema».

Una sorpresa e una delusione dell'ultima stagione?

«Sono un grande fan de "La grande scommessa" di Adam McKey, perché ha affrontato un tema molto ostico con idee di messa in scena assolutamente straordinarie. Invece mi sarei atteso di più da "La ragazza senza nome" dei fratelli Dardenne. Mi è sembrato il loro film più didascalico. Tra gli italiani mi è piaciuto "La pazza gioia" di Paolo Virzì, mentre mi hanno deluso in troppi».

Parliamo di "Neruda", il film che presenterà domani sera.

«È molto interessante. Questa biografia elastica che diventa anche riflessione su come certe immagini di persone si autoalimentano fino a diventare più importanti del reale dà vita a una bella riflessione. Come il potere dell'affabulazione. Questo doppio scambio tra la realtà e la capacità di immaginare le cose è il tratto più significativo del film. E Larraín è sicuramente un regista stimolante che vale la pena di seguire».

Com'è la critica nell'era del web e dell'opinionismo? Ha ancora senso?

«Sono da sempre un sostenitore della critica, perché credo che aiuti le persone a capire meglio le cose. Perciò valuto in maniera positiva il fiorire di blog, la possibilità estesa di esprimere in forma ragionata le proprie idee. Non solo sul cinema ma anche sulla letteratura, la pittura, la musica. Il difetto della rete è quello di mettere sullo stesso piano discorsi sensati ma anche facili insulti, uscite estemporanee e infelici. Con il rischio che queste derive abbiano il sopravvento. La critica ha senso perché la gente, in particolare i giovani, ha bisogno di una guida. Il critico aiuta, chi lo desidera, a capire meglio. Poi ognuno sviluppa il proprio pensiero in maniera autonoma».

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