Mayerling, 130 anni fa passione o politica? Rodolfo e la Vetsera il giallo sulla morte

Il 30 gennaio 1889 l’erede al trono d’Asburgo e la baronessina vengono scoperti cadaveri nel casino di caccia vicino a Vienna

TRIESTE Doppio suicidio o doppio omicidio? L’interrogativo è ancora aperto a 130 anni dalla tragedia che rese noto al mondo il nome di Mayerling. Un minuscolo villaggio a una trentina di chilometri da Vienna, dove, nella tarda mattinata del 30 gennaio 1889, vennero scoperti i cadaveri di Rodolfo d’Asburgo e di Maria Vetsera nella camera da letto del casino di caccia dell’arciduca nel bosco viennese. Lui aveva trent’anni era il figlio di Francesco Giuseppe ed era l’erede al trono di un immenso impero; lei ne aveva 17, apparteneva alla piccola nobiltà, ed era la sua innamoratissima amante.

Su di loro si sono scritte migliaia e migliaia di pagine, sono stati realizzati film, lavori teatrali, balletti. La vicenda è stata da subito circondata da un alone di mistero. Per nascondere all’opinione pubblica una tragedia così infamante, la polizia imperiale inquinò le prove. Maria Vetsera fu velocemente sepolta nel cimitero di Heiligenkreuz e la salma del principe fu trasportata a Vienna. La morte dell’erede fu attribuita a un attacco di cuore, lei non fu neanche menzionata. Solo più avanti si ammise il suicidio e venne chiesta la dispensa papale per poter seppellire Rodolfo nella Cripta dei Cappuccini accanto agli altri Asburgo.

Tante versioni

Ma, nonostante l’occhiuta censura imperial-regia, le versioni sulla morte dell’erede al trono si sprecarono: la tesi più romantica fu che decisero di uccidersi perché non si potevano sposare in quanto lui lo era già con Stefania del Belgio e lei era troppo inferiore socialmente per ambire a quel ruolo. Quella più truce ipotizzava la morte di Maria per un goffo tentativo di Rodolfo di farla abortire e il suicidio dell’erede al trono per la disperazione.

La personalità del principe, le sue frequentazioni politiche, le sue idee liberali, però, hanno favorito una interpretazione ben più appassionante. Ne hanno scritto a quattro mani il giornalista Fabio Amodeo e il ricercatore argentino Mario José Cereghino. Nel loro “Mayerling, anatomia di un omicidio”, (Mgs Press) la tesi è enunciata già dal titolo: non si trattò di una fuga d’amore ma di una vicenda in cui il sesso tra Rodolfo e Maria fu un elemento secondario. In realtà, il principe stava fuggendo all’estero, inseguito dai suoi nemici interni, ed era disperato per essere stato messo da parte da Francesco Giuseppe. Mayerling sarebbe stata soltanto la prima tappa del viaggio verso l’esilio, e la baronessa Vetsera niente più di una delle numerose amanti da lui frequentate nel corso di un’esistenza dagli umori altalenanti e febbrili.

Le intemperanze di Rodolfo erano note a corte, sia ai genitori, sia alla moglie Stefania, che affermò che Maria Vetsera era una delle tante e che la notte prima di andare a Mayerling per una battuta di caccia lui l’aveva trascorsa con una grande cocotte, Mitzi Caspar, che peraltro era da molti anni buona “amica” di Rodolfo.

In fuga da chi?

Ma torniamo al giallo: da chi fuggiva Rodolfo? Neanche Amodeo e Cereghino sono stati in grado di stabilirlo con certezza: i primi a essere messi sotto accusa sono i circoli militari e reazionari austriaci che non vedevano di buon occhio le idee riformatrici di Rodolfo, in primis il trialismo che avrebbe dato all’elemento slavo pari dignità rispetto a quelli tedesco e magiaro nell’ambito della monarchia asburgica. Ricordiamo che anche Francesco Ferdinando, il quale alla morte di Rodolfo divenne erede al trono, fu assassinato a Sarajevo per lo stesso motivo, anche se da mani serbe. Eanche lì ci furono quanto meno pesanti omissioni da parte austriaca nella sicurezza. Gli ambienti reazionari viennesi avevano da tempo avviato una campagna diffamatoria contro Rodolfo, presentandolo come dissoluto, legato a circoli massonici ed ebraici, e infine emotivamente instabile. Preparando il terreno per una eliminazione cruenta.

Secondo il grande storico ungherese naturalizzato francese, François Fejtö, autore di “Requiem per un impero defunto” (Mondadori), sarebbe stato invece il Kaiser tedesco Guglielmo II a ordire il complotto. Nemico giurato di Rodolfo era da lui ricambiato: «Guglielmo al massimo lo incontrerei volentieri in una battuta di caccia per liberare il mondo da lui in modo elegante», aveva affermato Rodolfo. Insomma un delitto di stato, mascherato da suicidio, in cui la povera Vetsera sarebbe stata invischiata come una scomoda testimone da eliminare.

Uniti fino alla fine

Tutto risolto? Nient’affatto. Una scoperta nell’archivio Schoellerbank di Vienna, avvenuta quattro anni fa, ha gettato una nuova luce, riportando in auge l’ipotesi del doppio suicidio per un amore proibito. Da un piccolo scrigno, con foto e documenti della famiglia Vetsera, sono emerse le lettere d'addio di Maria a madre, sorella e fratello, foto dei due amanti e altri documenti. «Non posso resistere all'amore, fedele seguirò Lui fino all'ultimo» aveva scritto la giovane. E lui, poco prima di Mayerling, le aveva regalato un anello su cui era inciso: “In Liebe vereint bis in den Tod”. Uniti nell'amore fino alla morte. La scrittrice Romana de Carli Szabados, pone un interrogativo: “Senza Mayerling niente Sarajevo e senza Sarajevo niente fine dell’Impero?”. Probabilmente ci sarebbe stata una qualche Sarajevo perché Vienna era dominata da quei circoli reazionari che, se non eliminarono Rodolfo, certamente tirarono un sospiro di sollievo alla sua morte. E perché le élite di tutta l’Europa stavano andando come sonnambule verso il disastro, per mantenere i propri privilegi, come ha spiegato magistralmente nella sua monumentale opera, intitolata appunto “I sonnambuli” (Laterza) lo storico di Cambridge, Christopher Clark.
 

Riproduzione riservata © Il Piccolo