Massimo Goina, quando la fotografia è musica

Per parlare di fotografia musicale ci affidiamo a Massimo Goina, un professionista del settore, che dal suo studio di Via Machiavelli 28 si occupa di foto e grafica a 360 gradi, ma che non ha mai abbandonato la sua passione per la musica e per la scena underground cittadina.
Racconta: «Già a quattro anni "rubavo" la macchina fotografica a mio papà e scattavo le prime foto, avevo questa passione dentro da sempre. Ho cominciato con uno studio di grafica nel 1995, all'epoca non pensavo di lavorare come fotografo. L'avevo un po' messa da parte e ho ripreso poi con la fotografia digitale. Sono approdato alla Casa della Musica per varie collaborazioni, in quanto vecchio allievo di Gabriele Centis (suonavo in un band hardcore distribuita perfino in Usa e Giappone, con cui ho fatto concerti anche in Australia).
Il fatto di essere musicista mi ha aiutato a livello della percezione emotiva, quando fotografo i concerti seguo la musica, cerco di tirar fuori le fotografie che giornalisticamente parlando potrebbero funzionare da corredo per un articolo, quindi con gli elementi ben visibili, senza confusione di aste di microfoni o cavi, devi avere sempre delle verticali e delle orizzontali, spazio, primi piani, emozioni ma al di là delle regole e della tecnica, se non senti la musica hai una mancanza. Arrivo a sentire il feeling, non sono passivo, riesco ad essere dove serve al momento giusto: ci vuole molta energia».

Goina collabora con il TriesteLovesJazz fin dalla seconda edizione, cura la loro grafica e comunicazione visiva. Oltre alle foto live, tanti i ritratti con artisti locali: Frank Get (anche per il suo progetto Ressel Brothers), i pianisti Angelo Comisso e Reana De Luca, Ornella Serafini, Emanuele Grafitti, la cantante Joy Jenkins. Di recente un lavoro importante per i Rhapsody Of Fire, ritratti alla Casa della Musica: gli scatti saranno usati per la promozione internazionale del prossimo disco.
«Se devo citare un altro professionista per quanto riguarda le foto musicali penso a Luca Valenta - dice ancora -, entrambi siamo stati formati da Luca D'Agostino. Dopo quattro anni che fotografavo il jazz da professionista gli dissi che avrei voluto allestire una mostra e D'Agostino mi gelò: "Pensi sia già il tempo di farne una?". Quindi ho aspettato. A volte vedo delle foto e penso che sarebbe come far scrivere un testo a una persona che non sa coniugare i verbi. Ma non sempre il pubblico ha gli strumenti per distinguere. La fotografia è un linguaggio, e vedo sempre più spesso foto che parlano come un bambino di due mesi. Le tecnologie digitali, con i loro vantaggi, hanno portato anche a un abbassamento della qualità».
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