Martino, il regista che creò Edwige Fenech

Protagonista dell’Italian Giallo e del poliziottesco, il 2 novembre riceverà il premio Urania d’argento al Science+Fiction Festival
Quentin Tarantino in “Kill Bill-Volume 2” ha usato la musica de “Lo strano vizio della signora Wardh” (1971) per rendere omaggio a Sergio Martino, uno dei suoi registi preferiti e uno dei principali autori italiani del cinema di genere fra gli anni ’70 e ’80.


E proprio Sergio Martino, romano, 80 anni l’anno prossimo, 66 regie e 44 sceneggiature in tutti i generi possibili, sarà premiato a Trieste il 2 novembre con l’Urania d’argento alla carriera dal Science+Fiction Festival (31 ottobre–5 novembre). Grande protagonista dell’«Italian Giallo», del fantastico, del poliziottesco e della commedia, Martino sarà celebrato con la proiezione del suo postatomico “2019 – Dopo la caduta di New York”.


A parte gli apprezzamenti di Tarantino, Joe Dante e della giovane critica – gli abbiamo chiesto - era mai stato premiato prima d’ora?


«Mi pare proprio di no - risponde - e per questo sono molto grato al festival triestino di cui avevo sempre sentito parlare. Il mio è stato considerato per anni un cinema ‘trash’ perché toccava tutti i generi e faceva soldi nel mondo. Ma era la stagione più felice del cinema italiano, la seconda industria dopo gli Stati Uniti. E questo è stato un merito anche di tutti quei registi che, come me, facevano un cinema popolare e di genialità artigianale come Argento, Bava, Dedoato, Di Leo, Lenzi, purtroppo scomparso giorni fa».


Come è nato il suo primo giallo, ‘Lo strano vizio della signora Wardh’ con Edwige Fenech?


«Ancora prima di Argento, la casa di produzione di mio fratello Luciano Martino (Zenith, poi Dania) aveva iniziato il filone con titoli quali ‘Il dolce corpo di Deborah’. Sulla falsariga di quel film e con l’aiuto dello sceneggiatore Ernesto Gastaldi immaginai una storia ispirata al ‘caso Fenaroli’, un misterioso delitto che divise l’Italia negli anni ’50. Intanto uscì ‘L’uccello dalle piume di cristallo’, ma il mio progetto era un po’ diverso. Mi inventai sequenze schizofreniche inserendo spezzoni di tre fotogrammi. Creavano immagini subliminali che avevano maggiore efficacia sulla psicologia dello spettatore. E poi c’era la sensualità di Edwige Fenech. Inizialmente per la protagonista avevo pensato a un tipo più nordico da giallo anglosassone, una bionda emaciata come Mimsy Farmer. Ma capitò la Fenech, appena messa sotto contratto in esclusiva da mio fratello. Diede al personaggio una fisicità straordinaria, ma anche una problematica psicologica. Fu il film che la lanciò».


I gialli di Sergio Martino sono ormai dei classici.


«Al Festival di Sitges un mese fa la sala era piena di giovani in visibilio per ‘Tutti i colori del buio’. Devo dire grazie ai collaboratori entusiasti che avevo allora, il montatore Eugenio Alabiso che aveva lavorato con Sergio Leone, l’operatore Giancarlo Ferrando che si arrampicava dappertutto, come per le sequenze dall’alto de ‘La coda dello scorpione’. Non c’erano mica i droni! E fu la costumista Vera Marzot a suggerirmi la maschera bianca dell’assassino di ‘Torso’, ripresa poi da Carpenter in ‘Halloween’».


Sembrano produzioni ricche, con location estere.


«Diciamo ricche ‘all’italiana’! Risparmiavamo su tutto! I viaggi più lontani li facevamo per gli avventurosi come ‘La montagna del dio cannibale’ in Sri Lanka e Malesia. La protagonista era Ursula Andress che non aveva paura di niente, neanche di un pitone vivo perché era stata in Africa con Belmondo. Non era affatto ‘diva’. Invece ‘L’isola degli uomini pesce’ lo girammo in Sardegna e a Bracciano, e lo vendemmo all’estero per un miliardo solo sul disegno dell’uomo pesce. Roger Corman lo distribuì facendo aggiungere un prologo a James Cameron e facendolo rimontare da Joe Dante».


Ci parli di “2019–Dopo la caduta di New York”.


«È piaciuto a Tarantino per la dimensione romantica. Un film avanti con i tempi, avevo immaginato la distruzione delle Torri gemelle da parte di un’alleanza euro-araba! Non nascondo comunque le suggestioni da ‘Fuga da New York’ di Carpenter e ‘Blade Runner’. In quegli anni gli americani ci superarono definitivamente sul digitale, e il cinema di genere italiano scomparve. Scrissero che facevamo la fantascienza ‘con i burattini’».


Amarezza per certe vecchie critiche?


«Me le sono messe alle spalle. Giovanni Buttafava e Oreste Del Buono invece ammirarono i miei polizieschi, per i quali ero influenzato da ‘Z, l’orgia del potere’ di Costa-Gavras, in cui tutti parlano e camminano velocemente. Mi fa sorridere ormai quel critico che paragonò i miei lavori a crimini, scrivendo: “Sergio Martino i film non li dirige, li commette’».


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